giovedì 26 ottobre 2017

Anna Frank

Trovai il Diario di Anna Frank tra i libri di mio padre.
Lo lessi come leggevo altri libri, senza sovrastrutture ideologiche.
E come avrei potuto? Avevo 5 anni.
Sapevo leggere e scrivere (oltre che disegnare) prima di iniziare a frequentare la scuola elementare, i miei compagni di classe con memoria lunga ricorderanno che risposi alla maestra, che mi interrogava, se voleva che enunciassi l'alfabeto italiano o quello greco.
Fece chiamare i genitori, spiazzata.
Ebbene, tornando al diario in questione - mai più letto per evitare che influenze postume potessero togliermi quella sensazione - mi colpì l'angoscia, il fatto di non potere fare tutto quel che si sarebbe voluto e non tanto il sospetto e la presa di coscienza di una morte prematura.
Lo scambiai per un romanzo vagamente autobiografico e non capivo perché ogni volta che lo prendevo dalla libreria mia madre me lo strappasse dalle mani e minacciasse mio padre al rientro, ammonendolo di non lasciarlo alla mia portata, altrimenti lo avrebbe fatto sparire.
Tutto ciò, ovviamente, aumentava la mia curiosità tanto che, anche se a tratti, lo lessi.
Non saprei citarne una frase a memoria, né una situazione, come ho visto fare con copia e incolla, sono passati 45 anni.
Ma mi chiedo, gli indignati, lo hanno letto tutti?
O se ne sono serviti, tanto quanto gli idioti, a sproposito?
O funzionalmente a che cosa?
Un libro dovrebbe essere un monito, un faro.
Non dovrebbe essere un mito o un culto.
Si tratti delle "bibbie" di ogni religione, si tratti del diario di una adolescente deportata.
A meno che non vogliate declassarlo sul piano di quello di Bridget Jones.
Ritengo chiuso l'argomento.