giovedì 22 giugno 2017

I Draghi di Berlusconi


La presa di posizione di Silvio Berlusconi in relazione alla preferenza espressa in favore di Mario Draghi come Presidente del Consiglio italiano è spiegabile, anche se non condivisibile.
Non dimentichiamo che già nel 2013 lo caldeggiò come Presidente della Repubblica (e per i medesimi motivi).
Il "faccendiere" Bisignani lo definì addirittura un golpe, l'ennesimo aggiungiamo noi.
Ma Draghi – ringraziando a denti stretti – disse che stava bene dove stava, almeno fino alla fine di ottobre 2019, cioè alla scadenza del suo mandato in BCE.

Vediamo insieme.

Il Cavaliere, prima disarcionato e poi decaduto, ha ancora da incassare (secondo lui) una cambiale mai riscossa, anzi, almeno un paio: quella fatta "firmare" per l'avvicendamento con Mario Monti nel 2011 alla Presidenza del Consiglio e quella che – quasi contestualmente e conseguentemente – ha consentito a Draghi di diventare Presidente della BCE.
A burocrati europei tranquillizzati sullo spread italiano, però, non certo per quel che dichiara Berlusconi in proposito ai fatti di allora.

Inoltre, la candidatura di Draghi, gli dà modo di mettere una pietra sopra allo sciagurato «patto del Nazareno», l'accordo siglato con Renzi il 18 gennaio 2014.
Le riforme che ne sarebbero dovute scaturire – la modifica del titolo V della seconda parte della Costituzione, la trasformazione del Senato in "Camera delle autonomie" e l'approvazione di una nuova legge elettorale – tra sconfitte e mezze vittorie, tra referendum e consultazioni parlamentari, sono naufragate più o meno miseramente in aggiustamenti "gattopardiani", come al solito.
Con colpevoli avalli e/o distrazioni da parte dei "gendarmi a 5 Stelle", ma tant'è: non riconoscerebbero la sirena di un'ambulanza da quella di una pattuglia di polizia.
Tuttavia sembra che bisogna "lasciarli provare" fino alla fine, quest'ultima unica cosa certa.

La confusione nasce dalla composizione delle squadre opposte in campo: Berlusconi e Renzi per il "sistema" contro Salvini e Grillo "antisistema".
Potremmo sintetizzare rivalità intestine accomunate da battaglie demagogiche per il potere purchè sia: un disastro che non si vedeva dall'aborto del compromesso storico.


Anche in ragione di ciò, a Berlusconi serve un "candidato forte" che scongiuri il ritorno di Renzi (suo unico rivale ora, sempre secondo il livello di alzheimer) e, al tempo stesso, però, giochi un brutto scherzo all'altro Matteo.

Salvini – ex secessionista, ora nazionalista di comodo – infatti, prenderebbe una sonora legnata come principale antagonista delle banche pro euro, una faida trasversale di Silvio per l'irriconoscenza della Lega nei suoi confronti, manifestata più volte nel corso degli ultimi venti anni, prima da Bossi, poi da Maroni, con Tremonti a fare da pesce in barile, una volta di quà, una volta di là, secondo convenienze o secondo "coscienza alternata".

Il tutto avviene, badate bene, per non ritrovarsi Prodi come premier, uno che non sa più quel che fa e dice (se mai lo ha saputo o ha fatto finta di saperlo), che comunque sarebbe visto di buon occhio dall'Europa, più di Draghi, più manipolabile, per non dire di peggio.
E soprattutto ignorando il vincente populismo di Grillo, tutt'ora un'incognita dopo ben quattro anni in Parlamento.
Forse ingenuamente, Berlusconi – coinvolgendo Draghi – spera di mettere cappello e una toppa alla cambiale europea: "se l’Italia esce dall’Euro deve pagare 358,6 miliardi alla BCE", ha da poco dichiarato il suo Presidente in carica, incurante dei sovranismi montanti, anzi, zittendoli bruscamente.

Una furbata che non gli riuscirà, purtroppo anche per noi: seimila euro a testa potremmo investirli per altre iniziative, lasciando a Prodi e ad Amato l'onere dell'insoluto.

Insomma tanto di personale e poco di politico: anche un Bilancia (dei pagamenti) ascendente Sagittario (altri dicono Bilancia) può sferrare colpi di coda (sterili) come uno Scorpione.

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Curiosità (per chi ci crede e per sdrammatizzare)

lunedì 19 giugno 2017

Democrazia spicciola


Un famoso detto recità così: "Le società sono belle in numero dispari inferiore a tre".
Un modo contorto per affermare che si sta meglio da soli che male accompagnati, specialmente in affari.
Prendiamo spunto per parlare di convenienze e convivenze.
Due persone riescono a mettersi d'accordo quasi sempre, poiché conviene ad entrambe giungere al "metà per uno".
Se non ci riescono, generalmente non esistono altre soluzioni in percentuale: Caino uccide Abele e si prende tutto.
Nelle società complesse, ma già partendo dal caso più semplice di esse, ovvero quello che contempla tre persone, le cose sono più difficili da sistemare.
Innanzitutto perché 100% non è divisibile per tre e quindi – concesso il 33% ad ognuno – avanzerà 1% indivisibile (non consideriamo decimali e periodici), ma assegnabile.
Poi perché il singolo può prendere soltanto un terzo a fronte dei due terzi lasciati agli altri.
E poi perché gli altri due, associandosi, potrebbero coalizzarsi contro di lui e farlo fuori.
Tralasciando i numeri pari, che non consentono la certezza della scelta, poichè prevedono un pareggio in eventuale diatriba, analizziamo il fattore 5.
In una società con cinque soci non avanza nulla, ognuno ha il 20% e le possibilità di alleanza si differenziano in maniera diremo "più democratica", cioè con più combinazioni.
Sembrerebbe una soluzione: più aumentano i soci (e 100 rimane numero divisibile per essi), più si garantisce democrazia, ovvero pari diritti.
Ma non è così: quando ci accorgiamo che 100% sarà divisibile per numero dispari soltanto quando arriviamo a 25 soci, ognuno con quote al 4%, giungiamo alla conclusione che soltanto particolari e rarissime configurazioni consentono democrazia, ovvero equa ripartizione.
Ci si avvicina di nuovo nel caso che contempla 33 soci con 3% di quota ognuno, ma avanza sempre quell'1% che ora si è fatto più pericoloso di prima: un socio al 4% contro 32 al 3% è molto più influente rispetto al socio con il 34% contro due al 33% della società a tre soci.
È vero, ci sono sempre le alleanze, ma più c'è suddivisione di consenso, più è difficile gestirle: la situazione italiana del centrodestra ne è un esempio lampante.
Vediamo.
Quando, i soci diventano milioni, la loro quota percentuale è così irrilevante da render necessaria la rappresentatività, e qui si ricomincia con i conteggi, ma dando luogo al primo controsenso o paradosso democratico, ovvero non è la totalità a decidere, ma la rappresentanza della maggioranza, la quale deciderà per tutti: per chi è d'accordo e per chi non lo è.
La democrazia è molto in voga e ben voluta, ma in realtà nasconde una volontà di sopraffazione sulle minoranze che di democratico non ha proprio nulla.
In definitiva, quella che chiamiamo democrazia, ovvero potere al popolo, non è altro che potere alle maggioranze, ma già Aristotele ne aveva parlato qualche anno prima dei moderni sostenitori delle forme di governo attuali.
Ubi maior, minor cessat, sia si tratti di cariche, sia dei rappresentati.
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Di quale cibo si nutre questo nostro Cesare?
Buona notte. E buona fortuna.
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sabato 17 giugno 2017

Ius soli e cazzi vostri


Servirebbe definire il concetto di società e comunità per comprendere quali siano le istanze legittime in esse contemplate.
Aggregazione spontanea o forzata, Comunità, Società civile oppure srl, snc, spa, tipi di società diverse, ma con punti in comune: quelli economici.
Le ingerenze delle une nelle altre creano equivoci, ma è impossibile scinderle.
I cittadini della società civile, ad esempio, a prescindere dall'ordinamento "democratico", non sono "soci" di alcunché, se non quando vengono chiamati a rispondere in solido degli ammanchi generati o malgestiti dagli amministratori, una cosa che li fa somigliare più a sudditi oberati da balzelli senza possibilità di opporsi agli "obblighi di legge" spesso pretestuosi.
Come si è ripetuto fino alla nausea a proposito di carrozzoni nazionalizzati (partecipati): privatizzare utili, socializzare perdite.
In un condominio, però, l'amministratore incauto viene sostituito, in una repubblica democratica è tutto più complesso.
Non soltanto perché è più semplice gestire pochi appartamenti, ma perché, nel condominio, "cosa" pubblica e "cosa" privata sono più a contatto tra loro, quindi più sentite.
Consideriamo un po' nostri anche il pianerottolo, la scala, l'ascensore, il palazzo, la strada, il quartiere. 

Il confinante è più "vicino" di "quel presuntuoso dell'attico" e di "quel poveraccio del seminterrato", ma sono entrambi preferibili a tutti "quelli della scala B che pagano di meno di quote riscaldamento".
Un campanilismo che va diluendosi con la proprietà altrui man mano che ci allontaniamo dal nostro bene immobile, dal nostro più privato ed intimo, dalla cosa nostra. 

In America è usanza dire: NIMBY - Not in my backyard, non nel mio giardino, orticello, etc.
Questa tendenza all'attaccamento alle cose, allontanandosene, riavvicina le anime, le appartenenze.
E gli interessi condivisi.
Come scrissi molti anni fa, se due automobilisti romani si tamponano in viale Trastevere, litigano; se si tamponano a Chicago, si abbracciano: paesa', come chi dal sud si ritrovava al nord o in Belgio.
Questo è quel che fa comunità di riferimento (bianca, nera, gialla, rossa che sia, non importa), non società civile, la quale necessita di regole scritte e da rispettare
Estendere diritto di suolo è gran bella cosa, dal punto di vista filosofico, anche se nel Bronx, Little Italy e Chinatown e in tutti quei posti dove aggregazione spontanea e forzata convivono, di filosofico c'è ben poco, se non l'analisi di chi osserva dall'esterno e non è coinvolto.
Sulla base di questo si potrebbe obiettare che anche alcuni italianissimi non sono degni del titolo, vero anche questo, tuttavia, prima di iniziare una epurazione dei connazionali, facciamo molta attenzione a chi stiamo aprendo la porta.

E soprattutto accertiamoci che oltre ai sacrosanti diritti – spesso negati anche agli italiani di buona volontà – essi abbiano anche medesimi doveri.
In caso contrario, cambiare gli amministratori.
Non è razzismo, è senso pratico: i soldi sono sporchi, ma servono a tutti.

venerdì 16 giugno 2017

L'immortalità del leader


La tendenza a identificare il partito con il suo massimo rappresentante - se non creatore - non è pratica nuova.
Limitandoci agli ultimi cento anni in Italia, Gramsci, Mussolini, Togliatti, Berlinguer, De Gasperi, Moro, Fanfani, Andreotti, Craxi, Almirante, Rauti, Berlusconi, Bossi, sono stati tra i casi più eclatanti, alcuni assurti a vessillo, altri a guida per l'ambiente di riferimento.
Alcuni presi ad esempio, seppur anacronistico, altri ostracizzati e destinati all'oblìo: dover ammettere che chi aveva torto aveva ragione (e viceversa) è difficile anche per il più obiettivo e apartitico degli intellettuali.
Con Berlusconi, però, abbiamo assistito ad una svolta: si è passati dal "padre-padrone" politico-ideologico a quello politico-economico, ovvero dalla proprietà intellettuale a quella materiale del partito o del movimento, che però reinterpreta e recupera la materialità assegnandole utile dignità: ciò la fa assurgere a valore pseudo-ideologico, ma anche molto pratico.
Ci spieghiamo meglio: Berlusconi ha fatto più favori come imprenditore (in qualsiasi accezione intendiate la funzione) o come politico?
Probabilmente più come imprenditore, anche se la "copertura politica" divenne necessaria per proseguire le attività imprenditoriali.

E questo dimostra l'annoso quesito: chi votava Berlusconi?
Moltissimi, soprattuto quelli che negavano di farlo.
Con Grillo, invece, si verifica l'esatto contrario: dichiara di aver votato 5 Stelle anche chi non lo ha fatto, altrimenti sarebbe un plebiscito.
Potenza dell'onestà sbandierata.
Premesso tutto quanto detto, mi chiedo quale sia il ruolo politico esatto ed effettivo di Grillo e che cosa ne potrebbe essere dei pur tanti orfani dopo la sua "morte politica"?

mercoledì 14 giugno 2017

Eguaglianza ed equità


L'immagine a corredo di questo post mette in risalto la possibilità di equiparare i diritti delle persone tramite infrastrutture.
Nell'immagine centrale vediamo una soluzione ottimale, mentre nelle altre due vediamo situazioni che generano rabbia verso chi non ha bisogno di aiuti (ma li sfrutta) e solidarietà verso chi ne avrebbe bisogno (ma non ne dispone).
Potrebbe essere aggiunta una quarta situazione dove i soggetti A e B si scambiano di posto, equiparando la propria posizione sempre a danno del più debole: si chiama accordo tra agiati.
In realtà le letture sono multiple, possiamo considerare le tre figure come padre, madre e figlio, come padre e due figli, come tre fratelli, come tre amici, come tre condomini, come tre sconosciuti.
Come potete immaginare, la mutazione delle tipologie in gioco, genera altre implicazioni: responsabilità del padre verso la propria famiglia, verso i propri figli, tra figli, tra amici, tra condomini, tra sconosciuti.
Per semplicità e per lasciar fuori le implicazioni emotive, prenderemo in esame soltanto quest'ultima possibilità, ovvero quella tra sconosciuti, ma accomunati soltanto dal fatto di far parte di medesima comunità.
L'analisi tra elementi di diverse comunità, infatti, reintrodurrebbe implicazioni emotive che potrebbero portarci fuori strada, vedremo più avanti.
Diamo per scontata la suddivisione in tre parti, cosa che aiuta ad elaborare una ipotesi probabile con più semplicità, condizione indispensabile per giungere ad una tesi credibile e dimostrabile.
Innanzitutto abbiamo la "statura di ceto" (A, B, C) che, in assenza di infrastrutture di compensazione (1, 2, 3), genera il divario da colmare.
Le infrastrutture 1, 2 e 3 dovranno essere posizionate correttamente per compensare il divario.
Per evitare di infilarci in un discorso che potrebbe di nuovo portarci fuori strada – cioè chi le gestisca e perchè le gestisca in un modo più che in un altro – per il momento ci affidiamo allo spontaneismo etico, una "forza utopistica" che dovrebbe gestire i bisogni in maniera che chi più ha, meno riceva, poiché non ne ha bisogno.
Diamola per scontata, anche se sappiamo che non è così.
A questo punto riguardiamo attentamente le tre figure iniziali: notiamo un fenomeno particolare, ovvero, chi è nel mezzo ottiene sempre quel che vuole, cioè, a prescindere da ciò che abbiano i più agiati o i meno agiati, in altre parole, la cosiddetta media borghesia può accontentarsi del livello al quale arriva, poichè esso è sufficiente per guardare oltre lo steccato, anche se con visuale non ottimale.

Ciò che è stato proposto dal Movimento 5 Stelle a proposito dei campi rom (con rappezzamenti populisti dell'ultim'ora), ha invece toccato la media borghesia, prospettando di privarla di quei benefit ai quali era abituata.
(Vedi figura qui a fianco)

Come se non bastasse, ha introdotto la variabile emotiva predetta sopra, generata dal fatto di mettere nel medesimo "contenitore" persone appartenenti a diverse comunità e diverse etnìe.
Quel che ne deriva è un mostro acefalo che non è, come stato detto, "né di destra, né di sinistra", ma contiene entrambe le ideologie: quella del "populismo razzista" alla Salvini e quella della carità "pelosa" tanto cara al "buonismo di sinistra".
Questo non è andare oltre, questo è rimischiare le carte per cercare di non scontentare nessuno.
Andreotti lo sapeva fare – o forse evitava a monte situazioni del genere – Casaleggio forse, Grillo no.