giovedì 15 febbraio 2018

Terra di mezzo al voto



Allo spoglio del 5 marzo, i voti persi dai 5 Stelle a causa dello sgambetto subíto non  saranno pochissimi, comunque molti meno di quelli auspicati da destra e sinistra, categorie desuete – dicono – e ormai prive di significato ideologico intrinseco, ma sicuramente presenti ed utili per definire le barricate.
Fuori da queste – più come bambini sfuggiti all'amorevole presa della mano paterna che come aspiranti Toti con relativo lancio di stampella – ci sono loro, i "comunque vada sarà un successo" (del vaffa) di chiambrettiana memoria.
Lo scenario è presumibilmente immaginabile: un Di Maio ormai "svezzato" dalla real Corona più che dall'esperienza parlamentera (non è un refuso), convincerà i suoi ad alzarsi di notte e, protetti dalle tenebre, a suonare al citofono, non dei leader (non ridete), ma dei gregari importanti degli altri partiti, con più probabilità di sinistra.
La conversazione avrà toni pacati, quasi complici, da "che non si sappia in giro", così da poter dire ognuno ai propri elettori "sono stati loro a chiedere il nostro supporto, noi ce l'avremmo fatta anche da soli".
Ennesima menzogna, proprio ora che il MoViMento ha subíto una piccola battuta di arresto – con risvolti grotteschi sulle vere finalità del supporto al MISE, invero – tutti hanno bisogno di tutti e tutti lo sanno.
Lo sa anche Berlusconi, che finge di non saperlo, al punto tale, però, che se ne convincerà e commetterà il suo ultimo errore politico, fate voi se sarà in ordine di tempo o definitivo.
Nel suo buen retiro sarà costretto ad ammettere che i suoi prodi fustigatori del malcostume delle (poche?) mele marce grilline, meglio avrebbero fatto a ignorare gli ammanchi pentastellati. In fin dei conti, questioni interne, panni sporchi di Grillo, che – come l'araba fenice – risorge sempre dalle proprie ceneri (di bucato) e sfrutta la "maldestrezza" dei suoi oppositori.
Pertanto, nella migliore delle ipotesi, ci aspetta un governo PD-M5S, forse durevole, avendo il placet delle banche rassicurate dalla bacchettata ai furbetti; nella peggiore uno a 5 Stelle, se lo sgambetto delle jene (minuscolo e con la j), dovesse paradossalmente rivelarsi, appunto, un clamoroso assist per loro.
Perchè nella peggiore? Perché un governo a sola guida 5 Stelle, verosimilmente con maggioranza di misura, incontrerà una opposizione feroce, ma suicida, che spianerà la strada all'insediamento dell'ennesimo governo tecnico, questa volta legittimato da palese incapacità dei contendenti.
Dopo Mario Monti, quindi, ci aspetta un altro Mario, ma dal cognome ben più inquietante.
O subito – altra ipotesi da non escludere – o a settembre 2018.
La Terra di mezzo, si sa, ha rilievi montuosi ed è infestata da orchi e draghi, Tolkien l'ha descritta meglio di Montanelli, d'altronde.
Speriamo che almeno cali il livore fratricida e che non ci siano troppi suicidi tra i grillini delusi e i disperati abituali che, senza alternative plausibili, il 4 marzo si rifiuteranno di votare per una "congrega di giullari al soldo della signora Europa".

giovedì 1 febbraio 2018

L'Italia al Voto

Vedo curatori fallimentari che fanno splendide vacanze in giro per il mondo.
Evidentemente la "professione" rende, specialmente se a causare i fallimenti aziendali è lo Stato insolvente.
Lo stesso che gli fa pagare i compensi conteggiati nelle esorbitanti spese processuali civili.
Ius soli? Sovranismo monetario? Buste di plastica a pagamento?
Sicuri che siano gli unici problemi, ammesso e non concesso che più o meno lo siano?
Non ho visto (ma magari mi è sfuggita) una consistente proposta di riforma della Magistratura.
Lo Stato sostiene delle spese per i processi, spese che spesso vengono rovesciate sugli attori ai quali – ove non in grado di pagare, la quasi totalità dei casi – vengono pignorate anche le mutande sporche.
Se queste spese fossero messe a bilancio preventivo per salvare realtà d'impresa e, di conseguenza, posti di lavoro, non ci sarebbe bisogno di spenderne altri per le procedure fallimentari: sarebbe un investimento, nella maggior parte dei casi.
Veniamo al ruolo del Movimento 5 stelle in questa Legislatura.
Dal 2013 i parlamentari grillini "restituiscono" parte dello stipendio, in realtà non lo vedono neanche transitare sul loro conto, e gli istituti che "trattengono" giovano del plus valore sugli interessi di valuta.
In teoria non ci sarebbe nulla di male, ma vediamo più in dettaglio.
I parlamentari "grillini" restituiscono metà dello stipendio (1700 euro al mese circa) e la parte della diaria non rendicontata. Una parte va al Fondo di ammortamento dei Titoli di Stato e il resto va al Fondo per il famigerato Microcredito gestito dal MISE.


Tutto bellissimo?
Non proprio.
Il Fondo di ammortamento dei Titoli di Stato, un bel nome dato a un baraccone nato per compensare le mancate entrate all'erario generate per lo più dalle privatizzazioni selvagge dei primi anni '90 e giustificato come tentativo di riduzione del debito pubblico: lo Stato cedeva le sue partecipazioni e poi riacquistava sul mercato i titoli di debito (Btp, Bot, Cct) per tenere a bada la soglia del rapporto tra debito e Pil.
Tuttavia, ora, è praticamente in situazione fallimentare, ovvero si perpetua un accanimento terapeutico nei confronti di un malato terminale: gli afflussi più corposi registrati provengono da pignoramenti e svendite, ovvero l'esatto contrario dei motivi per i quali era stato istituito, una beffa: come si fa a tenere a bada il debito se il PIL precipita?
Il cane non si morde la coda: se l'è mangiata da un pezzo.
Insomma, un altro dei carrozzoni ereditati dal passaggio dalla prima alla seconda Repubblica sta morendo e ci si versano soldi che potrebbero essere utilizzati altrimenti.
E analizziamo il Microcredito.
Abbiamo già affrontato l'argomento in passato, ma ci torniamo volentieri.
Leggiamo dal sito fondidigaranzia.it
"… tali risorse non sono utilizzate per erogare direttamente i finanziamenti, ma per favorirne la concessione attraverso la garanzia pubblica.
Le caratteristiche delle operazioni di microcredito sono stabilite dal Testo Unico Bancario (TUB) e dal Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze n.176 del 17/10/2014".
Tradotto in parole comprensibili, non si tratta di soldi a "fondo perduto", per utilizzare un modo di dire fuorviante, ma si tratta di veri e propri rimborsi erogati alla banca che emette il prestito qualora il beneficiario sia o diventi insolvente, ma sempre previa analisi e approvazione.
Tutto giusto, per carità, in termini finanziari, ma la pubblicità che viene fatta all'operazione non dice affatto questo.
Si prefigura voto di scambio? Sembrerebbe di sì, il peggiore, quello ottenuto con l'inganno a danno di ingenui.
Inoltre i fondi affluiti al Microcredito, in media annua, sono "soltanto" 30 milioni di euro, 50 centesimi pro capite circa, una cifra irrisoria rispetto alla tassazione.
E ancora, di questi 30 milioni, il contributo da parte "grillina" è ancora più irrisorio: non si arriva al milione di euro/anno, facendo i conti della serva.
Una autoattribuzione indebita di paternità e gestione che aggrava l'accusa di voto di scambio.


Se il Microcredito è finalizzato al finanziamento di piccole e medie imprese, un'altra realtà da trattare con la dovuta cautela, è la Cassa Depositi e Prestiti, una S.p.a. (ebbene sì) che può contare su un capitale sociale interamente versato che ammonta a 4.051.143.264,00 e contempla tra i suoi azionisti il MEF e varie fondazioni bancarie (ved. allegato CDP).
Una "botte di ferro" anche contro l'Europa che però non è "contro" l'Europa, ma vedremo dopo il 4 marzo come reagiranno le agenzie di rating internazionali, quelle che determinano il successo e il fallimento delle società (e non soltanto) quotate in Borsa (ved. andamento in allegato).
Nel frattempo, quindi, non esagerate nel farvi prendere in giro.

Altre info su www.maquantospendi.it (fonte immagini)
http://www.fondidigaranzia.it/microcredito.html
https://www.cdp.it/Ch…/Dati-Societari/Azionisti/Azionisti.kl