domenica 17 luglio 2016

Doverosi chiarimenti sul
finanziamento all'editoria


Una "Prima" di LINEA, giornale sospeso. Notare il prezzo di copertina.

Un giornale di commento obiettivo, ben gestito, a "guardia dei fatti" e senza pubblicità ha bisogno di sostentamento, non bastano gli abbonamenti o le vendite, non date retta a chiacchiere.

Il fatto che siano su web o cartacei è influente soltanto dal punto di vista del risparmio (sicuramente non da poco) sui costi di stampa, carta e distribuzione, ma se si vogliono fare le cose sul serio – a prescindere dal mezzo utilizzato – commentatori, editorialisti, redattori, corrispondenti, correttori e grafici devono essere retribuiti correttamente.
Inoltre un giornale cartaceo, così come una rivista o un libro, ha più autorevolezza di un effimero HTML, ma questa è una visione romantica.

Tuttavia, le spietate leggi del mercato e la crisi economica, impongono l'indirizzamento al risparmio.
Detto questo, quindi, analizziamo insieme costi e benefici delle operazioni editoriali.

Una redazione degna di tale nome – tolte le spese di locazione, utenze e macchinari, che possono essere parzialmente evitate con la sede virtuale – abbisogna di:
  • personale sul territorio equipaggiato, assunto, stipendiato e qualificato;
  • almeno due Agenzie stampa satellitari con infografiche e fotografico (ANSA e ADNK, ad esempio);
  • avere le carte in regola con:
  1. INPGI, 
  2. INPS, 
  3. CASAGIT, 
  4. Ordine dei Giornalisti, 
  5. FIEG, 
  6. USPI, 
  7. CORECOM,
  8. CORERAT,
  9. AGCOM (GDF) PDCM,
  10. Registrazione ISSN (e ISBN per altre attività editoriali non periodiche),
  11. Eventuale contributo SIAE, se si ripubblicano o si allegano opere di autori terzi. 
Il tutto costa, con stima molto al ribasso, almeno 50mila euro al mese, ovvero 600mila euro l'anno.
Se aggiungiamo le spese che abbiamo sottratto prima – cioè redazione fisica con contratto di locazione, utenze e macchinari, materiali di consumo e costi di segreteria, carta, stampa e distribuzione – i costi si triplicano: un milione e ottocentomila euro annui (con stima sempre al ribasso).
Il che significa che all'editore, con un prezzo di copertina a 1 euro, occorre vendere almeno 5mila copie al giorno (con dato certificato dalla distribuzione), che di questi tempi riesce soltanto ai più noti, i quali già ospitano pubblicità, però.
Altrimenti si chiude. 

Pertanto, senza contributi, è la pubblicità ad essere la vera padrona dell'informazione.
I giornali che vendono molto sono letti da molti (o almeno visti). 
Questo fa gola agli inserzionisti, i quali influenzano la linea editoriale del giornale: non si può parlare male di una banca, se questa ha acquistato il "paginone centrale" o la "quarta" a 100mila euro per due uscite, no?

Ad esempio, un noto giornale, i quali dirigenti e lettori vantano la non percezione del contributo, ha ospitato nelle manchette accanto alla Testata la pubblicità di una nota marca che distribuisce una tipologia di prodotti, alcuni dei quali poi finiti in una inchiesta della Magistratura sulla malasanità.
Primari compiacenti prescrivevano massicce dosi di questi prodotti in cambio di premi o vacanze.
Pensate che ciò gli abbia impedito di continuare a pubblicizzarla? 
O addirittura denunciare l'accaduto?
Ma per favore…

Lo testimonia il fatto che i finanziamenti statali sono stati sospesi soltanto ai giornali che rompevano le uova nel paniere agli amici di chi, quei finanziamenti, li erogava, cioè il Dipartimento Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Questo dovrebbe bastare per far capire come funziona veramente anche al più ingenuo tra i sostenitori dei tagli.
Invece, ancora troppi (e sempre più, purtroppo) pensano che un giornale sia paragonabile ad una qualsiasi attività commerciale: "se vendi, campi, se non vendi, muori".
Ammesso e non concesso che ciò sia giusto anche per un'impresa che non ha gli "agganci" per accedere agli ammortizzatori sociali per i dipendenti buttati in mezzo ad una strada da un giorno all'altro.
Per questo siamo tutti nei guai fino al collo, sia i lettori, sia i giornalisti, sia chi, licenziato, dovrebbe leggere di più.

Un giornale realmente indipendente è assimilabile a un pronto soccorso ospedaliero, potreste averne bisogno domani per denunciare un torto subito, un'ingiustizia dalle Istituzioni, un reato a danno di altri, una malversazione in ambito pubblico.
E tutto questo lo avete con un esborso statale procapite decisamente irrisorio: 2 euro all'anno per tutti i giornali che accedono a tale contributo (sarebbe più corretto parlare di rimborso).

Che sia tutto da riformare e controllare più attentamente, siamo d'accordo, ma da qui al taglio netto indiscriminato (anzi, sinistramente oculato), ce ne passa.

Se preferite le promesse al vento e il populismo spiccio di tutti, ma proprio tutti i politici, senza dati alla mano, fate pure.

In bocca al lupo.


mercoledì 13 luglio 2016

Il sonno della ragione
genera mostri

 
Il comunque deprecabile delitto di Fermo non può essere ascritto a cuor leggero a crimini con motivazione razziale e non può essere definito omicidio volontario, ma preterintenzionale, sulla base di quanto dichiarato dalla testimone oculare, la quale è stata sottoposta a gogna mediatica al pari dell'assassino. 
È civiltà questa?
I Media dovrebbero attenersi scrupolosamente ai fatti, senza cadere in dietrologie, o politicamente corrette (a sinistra) o di attenuazione delle colpe (a destra).
Accertare i fatti, innanzitutto, è compito degli inquirenti, le inchieste giornalistiche sono altro e seguono altra procedura.
Troppo spesso, però, entrambe sono fortemente influenzate dall'opinione pubblica la quale è sempre pronta a schierarsi a favore o contro sulla base di convenzioni o convenzioni di comodo o addirittura politicamente pretestuose.
La giustizia dovrebbe scontentare e punire chi è in torto, la legge, invece, cerca di non scontentare nessuno, ma, ovviamente, non ci riesce.

domenica 3 luglio 2016

Salvati da un rigore,
stroncati dai rigori.
Non basta il lutto al braccio


Dopo la strage in Bangladesh, parlare di calcio risulta difficile.
Tuttavia proverò a farlo utilizzando chiavi di lettura trasversali.
Ho guardato l'unica partita di questi "Europei" (ebbene, sì, porto sfiga), più che altro per vedere gli atteggiamenti dei giocatori in campo e della "cornice".
Anche perché, Italia-Germania, da sempre, è una partita che non si limita al solo campo di gioco.
Mi è sembrato di scorgere un attendismo che rispecchia il clima politico-economico-professionale tipico dell'area euro. 
Da ambo le parti, comunque, si aspettava l'errore dell'avversario per colpire: una tattica di ripiego utilizzata da chi non ha idee o piani strategici, né mezzi. E le due cose non sono svincolate.
Militarmente sarebbe un disastro: tirare i dadi non è certo da condottieri.
Il prevedibile epilogo di una partita giocata in arrocco non poteva che essere la giornalisticamente abusata "lotteria dei rigori", durante lo svolgimento dei quali, però, si è visto un esagerato livello di imprecisione e scarsità di cura, anche da parte di chi non aveva dalla sua la stanchezza come giustificazione.
La paura del contropiede c'è sempre stata, ma addirittura basarci sopra una partita fa sbiadire il ricordo dei catenaccioni descritti ed esaltati epicamente da Gianni Brera dopo il Mundial '82.
L'Italia contemporanea, non solo calcistica, vince e stravince se va in vantaggio (la forza dello sbruffone?), ma cade in depressione se deve inseguire o contrattaccare.
Perché? Ci piace vincere facile? Probabile.
Questa mentalità, però, ci impedirà di avere onore nella sconfitta (e nella morte). 
Sia per i nostri connazionali trucidati, sia per i suicidi da crisi imposta dalla finanza internazionale.
Insomma, quando si tratta di "rigore", non siamo strutturati per vincere.
E la Germania della Merkel lo sa bene, soprattutto fuori dall'ambito calcistico.

venerdì 1 luglio 2016

Afapatia


In questo delirio estivo delle tre C – caldo, calcio e cazzate – si perde ancora di più il senso delle cose importanti.

Uomini corrono come criceti sulla ruota dell'obbligo per soddisfare donne sempre più esigenti che si massacrano nell'illusione dell'eterna giovinezza per poi essere scelte da uomini scesi dalla ruota dei criceti, per vivere insieme l'ultimo quarto d'ora di gloria fittizia e poi in gloria definitiva.

Come ho detto giorni fa ad una allegra ragazza triste, le persone non muoiono, scelgono di morire.
Se pensi di non essere adeguato, non lo sarai, ma fallo per tua scelta, non per quella degli altri.
Pensa sempre come se fossi il padrone di casa, omaggia gli ospiti nella tua vita, ma comportati da ospite garbato in quella degli altri.
Per le cose importanti pensa con la tua testa, per le stupidaggini con quella degli altri, ti stupirai delle tue doti nascoste di preveggenza.
L'acqua staziona in pianura, corre in discesa, ma non va mai in salita: le persone fanno lo stesso, soltanto pochi sanno affrontare la fatica della cordata.

E di solito sono quelli che in vetta sono talmente stanchi da lasciare il merito della scalata agli altri.

Se avessi un caminetto attenderei ben disposto l'inverno della vita.