domenica 3 luglio 2016

Salvati da un rigore,
stroncati dai rigori.
Non basta il lutto al braccio


Dopo la strage in Bangladesh, parlare di calcio risulta difficile.
Tuttavia proverò a farlo utilizzando chiavi di lettura trasversali.
Ho guardato l'unica partita di questi "Europei" (ebbene, sì, porto sfiga), più che altro per vedere gli atteggiamenti dei giocatori in campo e della "cornice".
Anche perché, Italia-Germania, da sempre, è una partita che non si limita al solo campo di gioco.
Mi è sembrato di scorgere un attendismo che rispecchia il clima politico-economico-professionale tipico dell'area euro. 
Da ambo le parti, comunque, si aspettava l'errore dell'avversario per colpire: una tattica di ripiego utilizzata da chi non ha idee o piani strategici, né mezzi. E le due cose non sono svincolate.
Militarmente sarebbe un disastro: tirare i dadi non è certo da condottieri.
Il prevedibile epilogo di una partita giocata in arrocco non poteva che essere la giornalisticamente abusata "lotteria dei rigori", durante lo svolgimento dei quali, però, si è visto un esagerato livello di imprecisione e scarsità di cura, anche da parte di chi non aveva dalla sua la stanchezza come giustificazione.
La paura del contropiede c'è sempre stata, ma addirittura basarci sopra una partita fa sbiadire il ricordo dei catenaccioni descritti ed esaltati epicamente da Gianni Brera dopo il Mundial '82.
L'Italia contemporanea, non solo calcistica, vince e stravince se va in vantaggio (la forza dello sbruffone?), ma cade in depressione se deve inseguire o contrattaccare.
Perché? Ci piace vincere facile? Probabile.
Questa mentalità, però, ci impedirà di avere onore nella sconfitta (e nella morte). 
Sia per i nostri connazionali trucidati, sia per i suicidi da crisi imposta dalla finanza internazionale.
Insomma, quando si tratta di "rigore", non siamo strutturati per vincere.
E la Germania della Merkel lo sa bene, soprattutto fuori dall'ambito calcistico.

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