Un
metafilm è una cosa difficile da comprendere, non è alla portata di
tutti, soprattutto di quelli che sbagliano l'approccio, per questo il film non è
piaciuto ai palati troppo raffinati e a quelli che si aspettavano un
"cinepanettone di classe" sulla Città Eterna: non deve piacere, deve
irritare, è un'operazione strana.
Devo ammettere che anche io ho
faticato a mettermi sul binario giusto della fruizione,
poiché ero stato portato troppo fuoristrada dalle critiche preventive e
da quelle dettate da altre motivazioni pretestuose (co-produzione,
distribuzione, simpatie politiche, invidie, etc.) che con lo svolgere
del film c'entrano come il colore della pentola nella riuscita della
bollitura della pasta.
Sorrentino e Servillo si sono presi gioco della
giuria che ha abboccato all'esca del capolavoro e li ha premiati, essi
sono come Giotto che si burla di Cimabue.
Così come hanno abboccato alla
provocazione tutti quelli che criticano dall'alto di cattedre critiche
in "cinematografia in un weekend".
Anche Fellini, per sua stessa
ammissione, faceva la stessa cosa: prendeva per culo tutti, ma poi tutti
ruffiani a scappellarsi davanti al grande maestro, immagino quante
risate si sia fatte alle spalle dei presunti critici cinematografici, le
stesse che divertono oggi Servillo e Sorrentino.
Lo stesso Nanni
Moretti - che detesto, ma al quale riconosco picchi di genialità
assoluta - ha avuto spunti del genere, ma senza mai arrivare a toccare
l'onirico tipico di David Lynch (Twin Peaks, Mulholland drive) e dei
suoi nani inquietanti.
Sorrentino ci prova e ci riesce, come fanno i
truffatori, onore al merito, non ha mai detto che volesse giocare
pulito, d'altronde a brigante, brigante e mezzo…
In tutto questo si è
approfittato per sbeffeggiare gli insopportabili radical chic, i
bacchettoni, gli ecclesiastici viveur, le puttane tristi e serie, le
baldracche felici, i nani, le nane e le ballerine, i giornalisti, i
politici, i partiti, gli arrivati, i mai partiti, i falliti bravi e i
cialtroni realizzati, tutto sullo sfondo di una Roma che fa soltanto da
meravigliosa cornice, ma sbiadita come in un sogno che diventa incubo.
Insomma, è stato coinvolto tutto l'arco costituzionale, parlamentare,
religioso, coatto, nob, snob e chi più ne ha, più ne metta.
Perfino
la Ferilli diventa brava interpretando se stessa, come tutti gli altri,
d'altronde.
Si chiama Ramona (Romana), è malata, ma non si sa di che
cosa e muore non per far piangere come in qualsiasi altro film, ma
perché rappresenta l'ancora di salvezza del Faust-Gambardella
con-dannato a soffrire nella ricerca di una bellezza che non troverà mai
più: ha 65 e non ha più voglia di perdere tempo a fare ciò che non
vuole, neanche scoparsi una bella donna.
Nella conclusione, infatti,
verrà snobbato anche dal cardinale cialtrone, non a caso esorcista da
strapazzo ed esperto di coniglio alla ligure con olive taggiasche
(esiste anche quello alla cardinale).
Avevamo detto Proust, avevamo
detto Céline, ora diciamo anche Goethe, ma sempre nel massimo rispetto e
nei dovuti rapporti, dovesse incazzarsi (giustamente) qualche purista
amante dei classici.
Verdone è quel che avrebbe voluto essere Carlo,
si chiama Romano, ma non lo è fino in fondo, Venditti è il solito
Venditti, non potrebbe essere altrimenti, la "santa vivente" è un
gentile mostro morente grottesco che dorme in terra e mangia radici,
quelle alle quali dovremmo tornare per comprendere da dove veniamo, chi
siamo e dove, forse, potremmo andare.
Se continuiamo così, sicuramente affanculo tutti quanti.
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