sabato 15 settembre 2018

1978-1998-2018

Quaranta anni imbarazzanti


Su "I fratelli della Garbatella"

Meloni, Berlusconi, Salvini (foto Archivio Repubblica)

20 anni fa, nel 1998, si andava a Milano per discutere se Linea fosse più fruibile sul tabloid o su "elefante", come chiamavano il formato 70/100 aperto, in rotativa.
Se fosse preferibile impaginarlo a sette o a nove colonne, in Frutiger o in Times, se si dovesse prevedere occhiello, titolo e catenaccio anche di spalla, pancia e piede, oltre che in "apertura di testa".
Se si dovessero alternare caratteri "bastoni" con "grazie".
Insomma, un problema molto discusso nell'ambiente, anche se di tutt'altro significato: "apertura di testa" con "bastoni" negli anni di "piombo" valeva sia in tipografia che nei ciclostilati delle sezioni clandestine nel '77-'78.

Ma erano periodi avventurosi, meno violenti o di una violenza diversa da quelli citati, comunque non condivisi dalla mia famiglia, titubante sugli esiti e timorosa degli effetti.
Mio padre ha sempre preferito lasciarmi sbagliare da solo (frutti e conseguenze saranno soltanto tuoi, diceva, ma cattivo profeta in parte, purtroppo) e mia madre non è mai stata una crocerossina, anche se negli ultimi anni sono loro ad aiutare me, anziché il contrario.

Partimmo.
Fummo accolti – in una redazione troppo ordinata che elaborava un noto periodico altrettanto elegante – da un distinto signore che conoscevo di fama e di vista, ma non di persona.
Egli dispensò consigli tecnici e discutemmo delle problematiche di un quotidiano, che peraltro conoscevo già bene.
Avevo 32 anni e avevo maturato in precedenza un'esperienza decennale nel settore, tuttavia, misi da parte la mia spocchia tecnica e aprii occhi e orecchie (forse turandomi il naso) più speranzoso che cosciente del fatto che avevo a "portata di mouse" l'occasione per salutare con sonora pernacchia (e gesto dell'ombrello) vecchi clienti tirchi ed editori meno avari, ma insopportabilmente bizzosi.
Cosa che – col senno del poi – mi è costata la terra bruciata intorno di oggi, sia sul piano commerciale che su quello politico.
Sopravvissero soltanto vecchie amicizie apolitiche consolidate che erano più intente a fornire aiuto morale anziché chiedere soldi, nonostante fossi sparito ai loro occhi per 13 anni, totalmente assorbito dal lavoro – estenuante – che svolgevo per Linea.
Li ringrazio: amicizia, lavoro e politica devono restare su piani distinti, l'ho capito a mie spese.

Torniamo a Milano.
Il viaggio andata e ritorno in treno senza pernottamento fu un tour de force, oggi non reggerei allo stress psicofisico, soprattutto pensando all'utilità reale che ebbe, ma era una "cosa da fare", fortemente "auspicata e consigliata" da Pino Rauti che riponeva una sincera ed oculata stima professionale ed ideologica nell'uomo distinto che incontrammo a Milano.
Dimostrando, peraltro, un'apertura mentale "nazionale" e non provinciale, se non comunale, se non "di quartiere", come quella evidenziata dagli articoli linkati in fondo sulla gestione di Fratelli d'Italia e di Giorgia Meloni.

Non perdiamo il filo, però.
Inizialmente provavo invidia (positiva) per quella persona affermata e sicura di sé, avrei voluto essere al suo posto, ma quasi subito razionalizzai: era già un ottimo risultato essere stato scelto dal Segretario del Movimento Sociale Fiamma Tricolore come interlocutore degno di sedere a quel tavolo decisionale, in fondo egli aveva dimostrato stima anche in me, nel "signorino nessuno" che ero, ma più per merito guadagnato sul campo, che per blasone di famiglia: una rarità della quale sono tuttora fiero.

Tuttavia ero scettico – sono sincero – inoltre, tornare in quella Milano dove avevo prestato spensieratamente il servizio militare 12 anni prima, mi provocò un sentimento di amore-odio: non era più la Milano da bere Craxiana pre-tangentopoli di Pillitteri succeduto a Tognoli, era diventato il posto nel quale invidie e sospetti avevano preso il posto dell'imprevidente ottimismo edonista degli yuppies, sebbene Berlusconi (con Formentini, Albertini e poi Moratti) lasciasse sperare in aperture verso quella destra più moderata inaugurata da Gianfranco Fini, con Alleanza Nazionale, ma che finì come sappiamo, però, con l'esperimento fallimentare di Futuro e Libertà, una sorta di Liberi e Uguali visto da destra.

Ovunque carrozze e carrozzoni con predellino abbassato a disposizione per chiunque avesse "abiurato" il "Male assoluto", un esercizio di coerenza che, alla prova dei fatti, molti fallirono.
Chi per continuità e fedeltà intransigente alla "camicia nera", chi perché indossò (o tolse) la maschera che fino a quel punto gli aveva consentito – e gli avrebbe permesso – di continuare a galleggiare nello stagno politico post-tangentopoli.

È con sincera meraviglia che oggi leggo articoli sui "Fratelli della Garbatella", si tratta forse di un risveglio da quella che è stata negli ultimi venti anni l'illusione autodistruttrice della destra contemporanea?
Quella che ha visto i colonnelli lasciare il passo ai caporali, sperando che nuove verginità spalancassero le gambe ai vecchi marpioni, per intenderci.

Il tempo delle iene mascherate volge al termine, quindi: hic sunt leones, come piace ripetere a un caro amico.

http://www.destra.it/destre-al-bivio-per-fdi-uno-stop-definitivo-o-una-vera-ripartenza/
https://www.electoradio.com/mag/commentarii/la-destra-si-e-stufata-dei-fratelli-della-garbatella/

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