venerdì 29 giugno 2018

BUDELLO

Nel 1977 avevo 11 anni.
Leggevo – curioso – tutte le scritte sui muri, da quelle dei Romeo, vergate lente a romantico pennello di fronte al balcone di Giulietta che li aveva mollati, a quelle della contestazione politica, delle lotta studentesca e degli antagonisti eseguite più rapidamente (per ovvie ragioni) con bombolette spray.
Ne ho già parlato in un altro post in riferimento agli anni di piombo, ma era una questione circoscritta all'Italia.
E l'Europa?
Due scritte, in particolare, mi destavano interesse, ma – come al solito – era inutile chiedere spiegazioni, perché – se e quando le ricevevo – avevo sempre la sensazione che si trattasse di un pacchetto preparato per l'occasione, una buona scusa per l'assoluzione generazionale, come a dire: il terrorismo c'è, ma non è colpa nostra.
Spero di non dare medesima impressione.

Le due scritte, diverse, ma assonanti, erano:
NÉ USA, NÉ URSS, EUROPA NAZIONE.
NÉ DESTRA, NÉ SINISTRA, TERZA POSIZIONE.
Anni dopo – prima al liceo, poi nel lavoro – ebbi modo di approfondire la questione, anche perché dalla scrittura tutta in maiuscolo "stampatello" non si capiva che quella "terza posizione" fosse una firma, un "logo", più che un luogo (comune).
La struttura similare delle frasi – idonea per slogan cadenzati e scanditi in corteo pre-comizio – le rendeva belle, scolpite, non lagnose, impegnative ed esigenti, ma anche criptiche per le persone comuni.
Ricordo che un bidello corpulento (lo chiamavano crudelmente e ignobilmente Budello), dovendo rimuovere le scritte da un muro, disse irritato: "ma se po' sape' che cazzo cercano questi?".
Ragazzi più grandi di me lo offesero, altri lo difesero, ma entrambi i gruppi lo dimenticarono, tanto la scusa per darsele di santa ragione l'avevano già trovata.
Budello rimase ignaro ed impassibile: continuò a strofinare e raschiare la scritta con straccio, secchio e scopettone d'ordinanza.
Dava un'occhiata ogni tanto, giusto per non essere accusato dal preside di non aver provato a sedare la rissa, se ci fossero state conseguenze gravi.
Rissa della quale era stato causa, ma ignorandone del tutto i motivi.
La forma delle frasi, tutt'oggi, rimane viva in alcuni nostalgici; mentre la sostanza è mutata in qualcosa di diverso e assai peggiore di quanto auspicato.
Chissà se Budello è vivo e vota insieme a voi?

sabato 16 giugno 2018

Trenta anni senza Pazienza


L'autografo con "dedica" sulla mia copia di "ZANARDI"

Nel 1986 avevo venti anni, Andrea Pazienza trenta.
Quando ci trovammo l'uno di fronte all'altro, ad una mostra che esponeva suoi disegni in una galleria al Pantheon, a Roma, lui era un autore ed artista già affermato, ma costretto in quei panni nei quali probabilmente non si trovava più a suo agio da tempo, quasi sicuramente disgustato dall'obbligo di dover ormai produrre cose che piacevano più al pubblico pagante che a se stesso, mentre io ero un ragazzetto qualunque in attesa di partire per il servizio militare, abbigliato come voleva la moda "paninara" del tempo, più affascinato dal suo tratto spontaneo e perfetto anche quando abbozzato che dal significato sociopolitico intrinseco delle sue tavole.
Mi presentai, dopo una breve fila (era presto) con l'albo "Zanardi" aperto ad indicare la pagina sufficientemente bianca dove avrei voluto che rilasciasse il suo l'autografo.
Era seduto su una panca di legno verniciata di bianco come il muro dietro, non aveva un tavolo davanti a sé.
Con le gambe accavallate creava l'appoggio per scrivere o disegnare.
Quando fu il mio turno, alzò gli occhi (che aveva sempre mantenuto bassi), ma muovendo poco la testa: anziché vedere un paio di "polacchette" malandate (l'imitazione economica delle "Clarks Desert Boot") indossate dai ragazzi simpatizzanti di sinistra, vide un paio di scintillanti Timberland tirate a lucido.
Poi vide i Levi's 501, la polo Lacoste e infine i RayBan lenti a specchio con montatura nera a goccia.
Per acquistare il kit del perfetto "tozzo" (così si chiamavano i "paninari" a Roma) impiegai anni vendendo fazzoletti e "arbre magique" in periferia, insieme a ragazzi e ragazze molto più disperati di me
Mentre – probabilmente – il finto proletario che mi aveva preceduto nella fila degli autografi i soldi li chiedeva a mamma, anzi, era lei a darglieli per compensare i sensi di colpa tipici del genitore radical chic.
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«Che ci fa un "fascista" davanti a me?»
«Perchè mi chiede l'autografo?»
Deve aver pensato per un attimo, almeno così sembrò.
Poi, riabbassò lo sguardo e fece un rapido disegno con dedica, probabilmente pensando che non rappresentavo un pericolo come quello che aveva conosciuto bene in passato o forse per evitare che io lo diventassi in futuro.
La differenza tra noi, infatti, era principalmente che lui aveva già vissuto troppo e io ancora per nulla, esclusa la vendita porta-a-porta di alberelli profumati per automobili, ovviamente.
Morì due anni dopo, il 16 giugno del 1988, e ne rimasi scosso quasi quanto avessimo condiviso il tavolo da disegno (magari!) anziché averlo incontrato una volta soltanto.
Conservo i suoi lavori, ogni tanto li rileggo, non mi stancano mai, capisco un pezzo in più di quella generazione che, per poco, non è stata anche la mia: quella di metà anni '60, quella che aveva 15 anni agli inizi degli '80 e 25 agli inizi del '90, quella che per casuale auspicio prenatale scelse di nascere per rimpiangere il bel tempo andato dell'adolescenza e della maturità, anziché piangere morti, tra "compagni" e "camerati".
"Dopo il gelo degli anni di piombo, scaldiamoci al calduccio di questi anni di merda", scrisse didascalico ALTAN in proposito – un altro grande interprete del periodo contemporaneo – in una sua celeberrima vignetta, a proposito della transizione '70-'80.
Aveva ragione, ma fino a un certo punto, il piombo poteva tornare a scaldarsi velocemente, anche sotto mentite spoglie.
Chissà da che parte saremmo stati, se mai siamo stati da qualche parte.

domenica 1 aprile 2018

Il mostro bicefalo

Il governo gialloverde – secondo me, puntualizzo – è formalmente un mostro bicefalo, quindi sostanzialmente acefalo.
L'estensione esagerata della democrazia anche nelle sedi istituzionali porta ad unire tifoserie che si scannerebbero volentieri.
Lega e 5 stelle dovrebbero essere all'opposizione l'una dell'altro, non governare insieme: troppe divergenze programmatiche.
Forse è questo il motivo principale delle bagarre generata dall'opposizione, anche essa – peraltro – composta da anime profondamente diverse e differenti tra loro.

giovedì 15 febbraio 2018

Terra di mezzo al voto



Allo spoglio del 5 marzo, i voti persi dai 5 Stelle a causa dello sgambetto subíto non  saranno pochissimi, comunque molti meno di quelli auspicati da destra e sinistra, categorie desuete – dicono – e ormai prive di significato ideologico intrinseco, ma sicuramente presenti ed utili per definire le barricate.
Fuori da queste – più come bambini sfuggiti all'amorevole presa della mano paterna che come aspiranti Toti con relativo lancio di stampella – ci sono loro, i "comunque vada sarà un successo" (del vaffa) di chiambrettiana memoria.
Lo scenario è presumibilmente immaginabile: un Di Maio ormai "svezzato" dalla real Corona più che dall'esperienza parlamentera (non è un refuso), convincerà i suoi ad alzarsi di notte e, protetti dalle tenebre, a suonare al citofono, non dei leader (non ridete), ma dei gregari importanti degli altri partiti, con più probabilità di sinistra.
La conversazione avrà toni pacati, quasi complici, da "che non si sappia in giro", così da poter dire ognuno ai propri elettori "sono stati loro a chiedere il nostro supporto, noi ce l'avremmo fatta anche da soli".
Ennesima menzogna, proprio ora che il MoViMento ha subíto una piccola battuta di arresto – con risvolti grotteschi sulle vere finalità del supporto al MISE, invero – tutti hanno bisogno di tutti e tutti lo sanno.
Lo sa anche Berlusconi, che finge di non saperlo, al punto tale, però, che se ne convincerà e commetterà il suo ultimo errore politico, fate voi se sarà in ordine di tempo o definitivo.
Nel suo buen retiro sarà costretto ad ammettere che i suoi prodi fustigatori del malcostume delle (poche?) mele marce grilline, meglio avrebbero fatto a ignorare gli ammanchi pentastellati. In fin dei conti, questioni interne, panni sporchi di Grillo, che – come l'araba fenice – risorge sempre dalle proprie ceneri (di bucato) e sfrutta la "maldestrezza" dei suoi oppositori.
Pertanto, nella migliore delle ipotesi, ci aspetta un governo PD-M5S, forse durevole, avendo il placet delle banche rassicurate dalla bacchettata ai furbetti; nella peggiore uno a 5 Stelle, se lo sgambetto delle jene (minuscolo e con la j), dovesse paradossalmente rivelarsi, appunto, un clamoroso assist per loro.
Perchè nella peggiore? Perché un governo a sola guida 5 Stelle, verosimilmente con maggioranza di misura, incontrerà una opposizione feroce, ma suicida, che spianerà la strada all'insediamento dell'ennesimo governo tecnico, questa volta legittimato da palese incapacità dei contendenti.
Dopo Mario Monti, quindi, ci aspetta un altro Mario, ma dal cognome ben più inquietante.
O subito – altra ipotesi da non escludere – o a settembre 2018.
La Terra di mezzo, si sa, ha rilievi montuosi ed è infestata da orchi e draghi, Tolkien l'ha descritta meglio di Montanelli, d'altronde.
Speriamo che almeno cali il livore fratricida e che non ci siano troppi suicidi tra i grillini delusi e i disperati abituali che, senza alternative plausibili, il 4 marzo si rifiuteranno di votare per una "congrega di giullari al soldo della signora Europa".

giovedì 1 febbraio 2018

L'Italia al Voto

Vedo curatori fallimentari che fanno splendide vacanze in giro per il mondo.
Evidentemente la "professione" rende, specialmente se a causare i fallimenti aziendali è lo Stato insolvente.
Lo stesso che gli fa pagare i compensi conteggiati nelle esorbitanti spese processuali civili.
Ius soli? Sovranismo monetario? Buste di plastica a pagamento?
Sicuri che siano gli unici problemi, ammesso e non concesso che più o meno lo siano?
Non ho visto (ma magari mi è sfuggita) una consistente proposta di riforma della Magistratura.
Lo Stato sostiene delle spese per i processi, spese che spesso vengono rovesciate sugli attori ai quali – ove non in grado di pagare, la quasi totalità dei casi – vengono pignorate anche le mutande sporche.
Se queste spese fossero messe a bilancio preventivo per salvare realtà d'impresa e, di conseguenza, posti di lavoro, non ci sarebbe bisogno di spenderne altri per le procedure fallimentari: sarebbe un investimento, nella maggior parte dei casi.
Veniamo al ruolo del Movimento 5 stelle in questa Legislatura.
Dal 2013 i parlamentari grillini "restituiscono" parte dello stipendio, in realtà non lo vedono neanche transitare sul loro conto, e gli istituti che "trattengono" giovano del plus valore sugli interessi di valuta.
In teoria non ci sarebbe nulla di male, ma vediamo più in dettaglio.
I parlamentari "grillini" restituiscono metà dello stipendio (1700 euro al mese circa) e la parte della diaria non rendicontata. Una parte va al Fondo di ammortamento dei Titoli di Stato e il resto va al Fondo per il famigerato Microcredito gestito dal MISE.


Tutto bellissimo?
Non proprio.
Il Fondo di ammortamento dei Titoli di Stato, un bel nome dato a un baraccone nato per compensare le mancate entrate all'erario generate per lo più dalle privatizzazioni selvagge dei primi anni '90 e giustificato come tentativo di riduzione del debito pubblico: lo Stato cedeva le sue partecipazioni e poi riacquistava sul mercato i titoli di debito (Btp, Bot, Cct) per tenere a bada la soglia del rapporto tra debito e Pil.
Tuttavia, ora, è praticamente in situazione fallimentare, ovvero si perpetua un accanimento terapeutico nei confronti di un malato terminale: gli afflussi più corposi registrati provengono da pignoramenti e svendite, ovvero l'esatto contrario dei motivi per i quali era stato istituito, una beffa: come si fa a tenere a bada il debito se il PIL precipita?
Il cane non si morde la coda: se l'è mangiata da un pezzo.
Insomma, un altro dei carrozzoni ereditati dal passaggio dalla prima alla seconda Repubblica sta morendo e ci si versano soldi che potrebbero essere utilizzati altrimenti.
E analizziamo il Microcredito.
Abbiamo già affrontato l'argomento in passato, ma ci torniamo volentieri.
Leggiamo dal sito fondidigaranzia.it
"… tali risorse non sono utilizzate per erogare direttamente i finanziamenti, ma per favorirne la concessione attraverso la garanzia pubblica.
Le caratteristiche delle operazioni di microcredito sono stabilite dal Testo Unico Bancario (TUB) e dal Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze n.176 del 17/10/2014".
Tradotto in parole comprensibili, non si tratta di soldi a "fondo perduto", per utilizzare un modo di dire fuorviante, ma si tratta di veri e propri rimborsi erogati alla banca che emette il prestito qualora il beneficiario sia o diventi insolvente, ma sempre previa analisi e approvazione.
Tutto giusto, per carità, in termini finanziari, ma la pubblicità che viene fatta all'operazione non dice affatto questo.
Si prefigura voto di scambio? Sembrerebbe di sì, il peggiore, quello ottenuto con l'inganno a danno di ingenui.
Inoltre i fondi affluiti al Microcredito, in media annua, sono "soltanto" 30 milioni di euro, 50 centesimi pro capite circa, una cifra irrisoria rispetto alla tassazione.
E ancora, di questi 30 milioni, il contributo da parte "grillina" è ancora più irrisorio: non si arriva al milione di euro/anno, facendo i conti della serva.
Una autoattribuzione indebita di paternità e gestione che aggrava l'accusa di voto di scambio.


Se il Microcredito è finalizzato al finanziamento di piccole e medie imprese, un'altra realtà da trattare con la dovuta cautela, è la Cassa Depositi e Prestiti, una S.p.a. (ebbene sì) che può contare su un capitale sociale interamente versato che ammonta a 4.051.143.264,00 e contempla tra i suoi azionisti il MEF e varie fondazioni bancarie (ved. allegato CDP).
Una "botte di ferro" anche contro l'Europa che però non è "contro" l'Europa, ma vedremo dopo il 4 marzo come reagiranno le agenzie di rating internazionali, quelle che determinano il successo e il fallimento delle società (e non soltanto) quotate in Borsa (ved. andamento in allegato).
Nel frattempo, quindi, non esagerate nel farvi prendere in giro.

Altre info su www.maquantospendi.it (fonte immagini)
http://www.fondidigaranzia.it/microcredito.html
https://www.cdp.it/Ch…/Dati-Societari/Azionisti/Azionisti.kl

mercoledì 20 dicembre 2017

Tutte le bugie dello Spread

Senza timor di smentita, si può tranquillamente affermare che la UE sia una unione economica e non politica.
Ebbene, tale unione europea dovrebbe sottostare, in quanto tale, a regole economico finanziarie che disciplinano le Borse del Vecchio continente.
Se è vero, come è vero, che lo spread è il differenziale di potere d'acquisto tra titoli di Stati diversi, è anche vero che questo dovrebbe ricadere nelle regole di eccesso di ribasso ed eccesso di rialzo, fissate in +10% e -10% nelle contrattazioni europee.
Proprio per evitare speculazioni criminali, contrastate dal garante per la concorrenza (antitrust).
Trattandosi di titoli di Stato - pertanto aventi implicazioni sociologiche, oltre che mercantilistiche - le quote dovrebbero essere ridotte a 5 punti percentuale max sia in negativo che in positivo, ovvero una oscillazione di 10 punti, anziché 20.
Ma su questo argomento dovrebbe intervenire il Parlamento europeo che è, però, preoccupato più di regolamentare le unioni gay, che di evitare stragi economiche.
Come decidere chi è in eccesso?
Ovviamente sulla base media dell'andamento, ammesso e non concesso che i dati non siano falsati.
Secondo tale schema, sarebbe la Germania a sforare per rialzo e non la Grecia per ribasso, ripristinando un principio etico che, però, mal si adatta alla visione mondialista degli euroburocrati.
Infatti Wall Street non adotta tali limiti: potenzialmente i titoli azionari possono raggiungere il differenziale 100% (+50% -50%).
Oltre tale limite vi è il crack, che può essere indotto (1929) o generato da emissione di troppa moneta, seppur virtuale, in previsione di stime di rientro fallaci (2008, mutui subprime).
Tuttavia la situazione per loro è ben diversa.
Per spiegare la rendita di posizione, potremmo portare l'esempio dei vasi comunicanti, non a caso si parla di liquidità: una moneta cosiddetta debole è posta su un piano inferiore, ma ha potenziale di vendita maggiore rispetto a quella superiore, che avrà, invece, forte potere di acquisto.
Se il comune dimezza l'erogazione di acqua corrente, i primi a non fruirne saranno quelli dei piani alti, il piano terra sarà l'ultimo a non fruirne e le cantine continueranno ad avere acqua.
Viceversa, in caso di alluvione, saranno quelli dei piani bassi a subire danni.
Questo spiega l'iper produttività di USA e Cina: avere sempre qualcosa da vendere è fondamentale per non annegare.
In sostanza il potere di acquisto è importante soltanto per l'utente finale, gravato inoltre da IVA non scaricabile o recuperabile, per tutti gli altri è più importante il potenziale di vendita a patto di avere qualcosa da vendere: cianfrusaglie cinesi o smartphone e tablet.
Tutto ciò grazie ad una economia forte in quanto sovrana (la Fed stampa dollari) affiancata da una politica federale tra stati equiparati (per intenderci, gli stati americani Usa possono essere assimilati alle nostre regioni con governatore).
In ogni caso, l'antitrust, da quelle parti, ha un gran da fare.
E noi, come al solito, abbiamo adottato il modello sbagliato.

lunedì 6 novembre 2017

Rauti. A cinque anni dalla morte


Con Pino Rauti, nella redazione di Linea Quotidiano, lavorando a "Saperi & Sapori",
un progetto innovativo a tutela delle tradizioni dei prodotti alimentari italiani.
Una battaglia della quale, al tempo, assai pochi ne compresero l'importanza.
Le giaculatorie e i falsi rimpianti della destra attuale non riporteranno in vita Pino Rauti, né ne ricordano con lucidità l'ardore politico e la drammatica attualità delle sue lungimiranti battaglie sociali.
Nella migliore delle ipotesi, sembrano un atto dovuto: un po' poco, per uno come lui.
Con tutti i distinguo del caso, sia sulla fattibilità delle sue proposte (invero ardue, o ardite, come si addice a tutte le imprese coraggiose), sia sugli estensori, più o meno sinceri, delle suddette giaculatorie, sia sulla situazione attuale preconizzata "più e più volte" – come lui amava scrivere – ho comunque la nausea del blaterare di questi emuli che scippano pezzi del suo pensiero "ad usum delphini".
Non soltanto Gianfranco Fini – oramai unico capro espiatorio dell'implosione di AN – è il principale responsabile dell'avvento di questa armata brancaleone che parla di crociate senza aver mai impugnato spade, né difeso croci. Men che meno celtiche.
Anche perché, in quel di Fiuggi, le strade di Rauti e di Fini si separarono. 
E nettamente.
Colonnelli e militanti fecero la loro scelta: AN per un centrodestra moderato che strizzava l'occhio a Berlusconi? o un neonato MSFT, custode delle tradizioni del MSI-DN?
Comunque non importa: definirla scelta opportunistica, ragionata, obbligata o pavida, oggi, 22 anni dopo, rischia di essere l'ennesimo nostalgismo verso quel che non è stato e sarebbe potuto essere. Peccato, ma inutile, se non contestualizzato come errore o comunque come strada già percorsa che non ha portato da nessuna parte.
Alcuni ne hanno giovato, si dirà. Sicuramente. 
E incredibilmente sono quelli che lo ricordano con improbabile trasporto e nostalgia, certi di essere ormai sdoganati da quel "male assoluto" coniato da Fini.
Come scrissi nel pezzo in cui parlo dell'ossessione rautiana per le sintesi, buttato giù di getto il 3 novembre 2012 – all'indomani della sua morte – saranno tanti quelli che millanteranno amicizia, tanti quelli che lo disconosceranno e pochi quelli che lo ricorderanno senza ricorrere ad una retorica nostalgica del fascismo, che egli stesso – con immutato rispetto della memoria, si badi bene – stigmatizzava energicamente, spronando ad "andare oltre". 
Oltre le divisioni destra-sinistra, ma proprio per questo oltre anche i saluti romani, le camicie nere e i fasci littori.
Sembrerà strano, ma Pino Rauti non era l'uomo nero, era una persona con molti sogni, più per gli altri che per se stesso, però.
Pertanto una disciplina ferrea lo obbligava a un pragmatismo che intimidiva e incuteva rispetto.
Occorreva soltanto decidere se averne paura o stima.
Da questa scelta lui capiva chi aveva davanti.
In un libro in preparazione parlerò di tutto ciò e di tanti altri particolari avvenuti in questo nuovo "ventennio".
Facendo nomi e cognomi, ovviamente…

Un suo "allievo",
senza vergogna alcuna,
anzi, con onore e dignitoso orgoglio.



Metadati fotografia
© Massimo Sestini
Canon EOS-1DS
2003-10-03
09:19:39
Didascalia originale: Roma, Pino Rauti Presidente Movimento Sociale Fiamma Tricolore, in redazione con Carlo Pompei della nuova rivista "Itinerari Saperi sapori".