domenica 12 agosto 2018

Un giro dalle parti del libero arbitrio*


Scambio di merce e merce di scambio


Ognuno spende i propri soldi come vuole o ognuno si suicida come vuole?


La società – a mio giudizio, badate bene – può essere (e dico può, non affermo che è) subdolamente veicolata con bisogni indotti.
Si potrebbe obiettare che esista il libero arbitrio, certo, esiste: ognuno è libero di spendere i propri soldi come vuole, oppure regalarli o donarli (se gli avanzano). O, ancora, prestarli ad usura, ma questo è un altro discorso.
Se – in moltissimi casi – si tratta veramente di consapevole libero arbitrio, in molti altri di che cosa si tratta? Di bisogno di status symbol? di emulazione? o di chissà cosa altro?
Di qui, l'induzione al consumo e, da quello motivato e consapevole al consumismo, il passo è breve.
Non interessa qui il caso del miliardario che consuma tutta la cocaina in circolazione (né interessa come sia diventato ricco, né come abbia deciso di suicidarsi, per inciso), ma il caso del metalmeccanico che spenda due interi stipendi per un articolo soggetto ad obsolescenza precoce (e probabilmente programmata, con guasto immediato appena scade la garanzia) e valore intrinseco nullo, anziché investire quel poco che ha o che guadagna in qualcosa di duraturo, utile o addirittura indispensabile.

"Affari loro" – direte.
Fino a un certo punto: tra "quelli che non arrivano alla fine del mese" ci sono quelli che stringono la cinghia, ma ci sono anche i furbetti, cioè i questuanti del "reddito di cittadinanza", del diritto alla casa popolare senza diritto, della decrescita felice, del livellamento verso il basso, dell'assistenzialismo statale, ovvero, un costo sociale per tutti non compensato.
È, probabilmente, l'humus migliore per il germogliare dei populismi generati dall'invidia sociale.

Analizziamo.
"Se non hanno i soldi per mangiare, figuriamoci per risparmiarli" – direte ancora.
Sì, vero, in effetti si risparmia quando si può per sopravvivere quando non si può più farlo, ma allora perché spendere soldi a casaccio in periodi di vacche magre?
Non stupisce, quindi, che ad accrescere il numero dei "complottisti di comodo" (non i pochi che distinguono tra teorie campate in aria e quelle sulle quali è opportuno e consigliabile porsi delle domande) vi siano persone perlopiù appartenenti a questa categoria.
Ma non soltanto e non tutti, come anticipato e come cerco di spiegare.
È fisiologico: se non stai bene (o fingi di star male), chiedi aiuto, invochi protezione o denunci persecuzione, ma – proprio per questo – occorre distinguere tra bisognosi autentici e i furbetti citati.

Vediamo.
Le cronache e le statistiche ci raccontano che sono aumentati i suicidi tra persone che hanno perso il lavoro e tra imprenditori "sfortunati".
Cinicamente si potrebbe affermare che un suicida sia una bocca in meno da sfamare, ma sono anche due braccia tolte all'agricoltura (che gli italiani… etc.), all'industria (sempre più delocalizzata), al commercio (sempre più in mano a grande distribuzione ed esercenti stranieri), ai servizi (sempre più scarsi), al lavoro in genere, insomma alla produzione che dovrebbe generare il PIL e, di conseguenza, consentire i consumi.
Un corto circuito.

Non mi sembra che si tratti del migliore dei mondi possibili; possiamo accontentarci, sicuramente, potrebbe andare peggio (e sembra la strada imboccata), ma si potrebbe anche fare di molto meglio.

Ma attenzione: quando dico "non è il migliore dei mondi possibili" intendo dire che non è ANCORA il migliore dei mondi possibili: non rimpiango alcun "bel tempo andato", se non la mia spensierata giovinezza, che nulla ha a che vedere con i secoli e i millenni precedenti, imperi mediterranei, mediorientali, asiatici, centro-sud-americani, medievali, barbarici, rinascimentali, illuministici o risorgimentali in ordine sparso con le loro "religioni" politeistiche, monoteistiche, ecclesiastiche, confessionali, fideistiche, laiche e profane.
Pertanto la mia è una visione futuribile, non "passatista": "si stava meglio quando si stava peggio" o populista: "è tutto un magna-magna".
Sono moderatamente ottimista, ma rimanendo nell'ambito del realismo, però, senza derive new-age, l'era dell'Acquario o roba del genere hanno già prodotto delusioni, disillusioni e, talvolta, disastri.
Quindi non sono contro la modernità e il progresso: infatti ho qualche riserva sulla teoria di Massimo Fini sul "Denaro sterco del demonio".
La definizione, inoltre, contiene una contraddizione in termini, cioè "de-monio", anche se l'autore cerca di distinguere tra denaro senza valore intrinseco e con valore attribuito, ma inteso come merce di scambio (il denaro non è il mezzo, ma il fine), e moneta con valore intrinseco o attribuito intesa come strumento (mezzo) di scambio di merce in sostituzione del baratto.
Ovvero della trasformazione della produzione per fabbisogno alla trasformazione in consumatori seriali, semplificando in eccesso, lo so.

Per alcuni non esistono le famiglie che non arrivano a fine mese, d'altronde, da sempre, la saggezza popolare sostiene che il sazio non crede all'affamato.
Tale negazione è spiegata dall'assunto aprioristico – erroneamente generalizzante – che si tratti indistintamente di "paraculi fancazzisti" (i furbetti), quelli che sanno soltanto chiedere allo Stato in maniera parassitaria nei confronti degli altri che producono.
Pertanto, occorrerebbe seriamente mettere mano alle statistiche, pur sempre troppo ottimistiche: è più facile indicizzare i redditi (furbetti a parte) che individuare l'invisibile che muore di fame.
In ogni caso, non si possono prendere a campione soltanto i dati che confortano il proprio assunto aprioristico, non è intellettualmente onesto.
E poi, come si fa a definire la produttività?
Per il metalmeccanico o l'impiegato statale, il filosofo è un fancazzista e, spesso, viceversa, se il filosofo è un furbetto.

Occorre anche precisare – però – che la massa dei "complottisti di comodo" si annida nel ceto di livello medio-basso, sia economicamente che culturalmente, ovvero quelli (molti, ma non tutti) che chiedono assistenza allo Stato per i bisogni di prima necessità (casa, sussistenza alimentare e servizi), ma dilapidano quel poco che si guadagnano in beni futili o inutili.
Coloro i quali hanno rendite da posizione (impiego statale et similia) oppure i benestanti da rendite personali, non hanno motivo di lamentarsi, se non in maniera marginale, blanda, magari ipocrita, ma sicuramente non in misura "complottistica": non converrebbe loro smontare un sistema che, tra alti bassi, tutto sommato, li lascia vivere abbastanza bene.

Attenzione: non criminalizzo alcuna delle categorie citate, come vorrebbero fare (e hanno fatto) assolutismi e autoritarismi che pretendono di "educare" il singolo per educare il popolo, ne faccio soltanto una lettura analitica, pertanto si tratta innanzitutto di un'analisi più profonda sulla natura antropologica del singolo che soltanto successivamente sfocia in quella sociologica, come fenomenologia delle masse.
Non a caso quando parlo di status symbol o di che cosa altro? sono interrogativo, non assertivo.
In sintesi non sono teorie definitive sul giudizio finale alle persone e alla società, ma soltanto domande funzionali allo sviluppo del ragionamento, tenendo sempre presente che la libertà di chiunque finisce non quando (tempo), ma dove (spazio) inizia quella altrui.
Per questo motivo il libero arbitrio funziona bene in modalità soggettiva e scricchiola in quella oggettiva/collettiva.
Questo è quel che penso, giusto o sbagliato che vi sembri.
Questo è quel che è, altrimenti non è.
Né libero arbitrio, né libertà, né niente altro.



*Libero arbitrio
da http://www.treccani.it/enciclopedia/libero-arbitrio/
Espressione usata per indicare la libertà dell'uomo, i cui atti non sono determinati da forze superiori (di tipo soprannaturale o naturale), ma derivano da sue autonome scelte.
Nata sul terreno delle discussioni teologiche cristiane, in relazione alla conciliabilità tra onnipotenza e onniscienza divina e libertà umana, è in connessione con i problemi della grazia, della predestinazione e dell’origine del male. 

S. Agostino distingue il libero a. dalla libertà perfetta, che l’uomo avrebbe perduto in seguito al peccato originale, identificandolo come quel posse non peccari per cui esso diviene essenzialmente inclinazione al bene, pur potendo volgersi al male.
Nella scolastica il concetto di libero a. venne sviluppato in connessione al problema della volontà e della razionalità della scelta.
In S. Tommaso esso viene a identificarsi con la volontà e la volontà libera non può non attenersi ai dettami della ragione.
In antitesi all’intellettualismo tomistico una concezione volontaristica tende a ritrovare la libertà del volere nella totale indipendenza della volontà rispetto ai motivi dell’agire: così in G. Duns Scoto la libertà è intesa come possibilità di determinarsi ad azioni opposte, mentre in Guglielmo di Occam si accentua il carattere arbitrario della scelta, l’indifferenza rispetto a qualsiasi tipo di motivazione.

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