Nei giorni scorsi ho avuto un confronto con un trentenne, sedicente esperto del settore e sbandierante lauree.
È vero, non sono laureato in informatica, men che meno in ingegneria elettronica, ma smonto giocattoli e "diavolerie" tecnologiche da 45 anni circa.
La cosa rilevante è che, quando le rimonto, funzionano.
Meglio di prima se funzionavano male, come prima se funzionavano bene.
La domanda allora è: se funzionavano, perchè le hai smontate?
Per vedere, per sapere, come dal titolo dell'enciclopedia per ragazzi che mio padre mi regalò nei primi anni '70: 14 volumi ben rilegati e dai contenuti ricchi, ma spiegati con semplicità.
È grazie a lui – a mio padre – che sono quella curiosa testa di cazzo che sono.
Non a caso le macchine di Leonardo sono la mia passione.
Mia madre, invece, era sempre preoccupata che mi "avanzassero i pezzi".
In effetti avanzavano spesso, ma l'oggetto funzionava lo stesso, come per magia.
Ed è in quel momento che capisci che anche l'ingegnere che l'ha progettato, quel componente ce lo ha messo forse per capriccio, per scherzo, per dispetto o forse perchè aveva in mente una funzione aggiuntiva, poi mai attivata, chissà.
Il mio approccio alle cose è questo: smontare.
Un approccio che mantengo anche se leggo una teoria che non mi convince.
Un approccio sviluppato in un periodo nel quale tecnica e tecnologia si andavano fondendo in un'unica "crema" spesso virtuale.
Ma non basta più smontare l'hardware, occorre comprendere il software gestionale.
Paradossalmente, però, chi si occupa dell'uno, non si occupa dell'altro, se non per conoscere i punti di contatto necessari al funzionamento.
Chi fa programmazione non si occupa di ingegnerizzazione (disposizione dei componenti, cablaggi e/o connessioni) e viceversa.
Una specializzazione funzionale alla catena di montaggio e alle politiche produttive e di vendita, ma non alla consapevolezza di ciò che si sta facendo.
Questo lo ha capito l'ingegnere trentenne che nasceva quando io ero già tornato dal servizio militare?
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