domenica 30 ottobre 2016

Trump, gli sceriffi
e le paçionarie finte


Guardando la carta qui sopra sembrerebbe che i voti di Trump siano confluiti per lo più da un consenso di matrice "provinciale" e geograficamente compatto (interessante il raffronto con i dati definitivi dei confronti Obama-McCain e Obama-Romney). 
Un po' a dire (ma andiamoci piano) che l'America degli sceriffi intransigenti come Teasle ("cardo spinoso", quello interpretato da Brian Dennehy in "Rambo") o di quelli solo apparentemente mollicci (come quello interpretato da Stallone e tallonato da De Niro in "Cop land"), ha avuto la sua rivincita.

"Rambo" è ambientato in una cittadina immaginaria, Hope (speranza, che fantasia, eh?) nello Stato di Washington, che comunque conta località dal medesimo nome. 
In realtà venne girato nella vera Hope, situata in Canada.

Sylvester Stallone e Brian Dennehy in "Rambo"

John Rambo è reduce dal Vietnam, la guerra più folle degli Stati Uniti (a patto che ne esistano di sane), mentre Teasle, lo sceriffo, è un reduce della guerra di Korea, meno nota.
"In città la legge sono io", afferma lo sceriffo "fascista". 
E così, Rambo – un "fascio-comunista" come pochi mai apparsi sul grande schermo – se lo porta a spasso nella foresta, dove la legge non arriva, anzi, passa di mano (e di pugnale). 
Insomma, un casino: dalla difesa del territorio alla questione personale alla difesa di un altro territorio.
Potremmo dire che anche Donald ha portato Hillary a fare una passeggiata nel bosco conservatore, ma stavolta il lupo cattivo si è mangiata (e digerita) Cappuccetto Rosso.

De Niro e Stallone in "Cop Land"

Gli Stati Uniti sono un coacervo composto da "intrusi", da chi non li vuole e da chi non ne può più di averne: una forza elettorale (e non soltanto) difficile da valutare, poiché è in grado di aggregare in un attimo milioni di persone che condividono un medesimo disagio, a prescindere da quale sia. 
Probabilmente è qui l'errore principale dell'entourage Clinton: una sottostima non dei desideri, ma dei bisogni degli americani di "seconda fila" delusi da Obama. 

Oltre all'impresentabilità della candidata che ora vediamo nei particolari.


I voti alla "moglie di Bill" (vecchio puttaniere peggio di Trump, altro problema di comunicazione verso l'elettorato femminista, zoccolo duro dei DEM), invece, arrivavano da lobbies più o meno dichiarate: dal mainstream alle multinazionali di vari settori – in primis quello cinematografico, in capovolgimento rispetto agli anni '60, durante la Guerra Fredda, quando i comunisti venivano ostracizzati (altro film da ri-vedere: "Indiziato di reato", Guilty by Suspicion, sempre con De Niro, di Irwin Winkler, sul Maccartismo) – e dal politicamente corretto all'establishment, sia insediato che futuro e "rampante".

Il tutto è di matrice molto più metropolitan-urbana, tanto è vero che le manifestazioni anti Trump sono cittadine e non soltanto per utilità e comodità di raggiungimento dei palazzi governativi davanti ai quali protestare.
Qui la composizione è molto più semplice da individuare e conteggiare – seppur numerosissima (la densità abitativa per kmq di New York o Washington o altre metropoli è migliaia di volte superiore a quella di zone semidesertiche) – ed è più inquadrata (ovviamente, dal lato fisico, e paradossalmente, da quello politico-militare) rispetto alle "schegge impazzite" scarsamente controllabili dell'hinterland.
Si potrebbe sintetizzare che la "crosta" americana ha votato per la Clinton, mentre il "nucleo" ha votato per Trump. 
Anche se, alcuni Stati – tra i quali l'Illinois, notoriamente "razzista" (virgolette d'obbligo), ma ex feudo di Obama – hanno rovesciato le previsioni di voto, così come si è avuto un risultato non auspicato negli Stati del Sud, ma già ampiamente preannunciato nelle proiezioni.
Compatta per la Clinton la "West Coast" – quella affacciata sul Pacifico – mentre sull'Atlantico hanno retto soltanto le roccaforti del citato establishment.

Ammesso (e non concesso) che il mio ragionamento sia giusto, esclusi brogli elettorali (che i candidati avrebbero potuto peraltro mettere in atto, date le possibilità di entrambi), resta da verificare se l'errore della macchina elettorale DEM sia stata, in definitiva, proprio la democrazia.
O meglio, la sua struttura portante: il suffragio universale. 
Oltre al danno, la beffa: Platone se la ride a crepapelle, la sinistra un po' meno.
Renzi fa il sornione, ma accusa il colpo…

E quindi veniamo all'Europa, anzi all'Italia. 
Paragonare Trump a Salvini e la Clinton alla Boldrini (solo per fare due nomi di riva opposta in voga tra i più contestati nei social) può avere forse un senso esclusivamente se si considerano le "pezze d'appoggio" di entrambi, ovvero: chi sono, che cosa fanno (o hanno fatto, sia loro che i parenti e amichetti) e, soprattutto, tenendo ben presente che l'Italia non è l'America.

Estensione territoriale, densità di popolazione, diversità di etnìe aventi pari diritti (suffragio), ordinamenti geo-politici (governatorati), sistema elettorale e legislativo (ripartizione seggi, Congresso, etc.), problematiche socioeconomiche (ricchezza e povertà dalle disparità incolmabili) e risorse disponibili, sono parametri da tenere sempre in debito conto.

Anche perché, alla fine dei fatti, è la governabilità ciò che conta veramente, a prescindere dall'esito delle urne.
Dopo i festeggiamenti di rito, quindi, al neo presidente spetterà un ruolo niente affatto facile, soprattutto perché vincere "democraticamente" per un Repubblicano miliardario conservatore rappresenta un immane paradosso.
E lui lo sapeva prima, ma – forse – lo teme adesso.

Ai più volenterosi consiglio "La crisi del Capitalismo. Pirou, Sombart, Durbin, Patterson, Spirito". Sicuramente datato (e, quindi, per certi versi, anacronistico), ma utile per capire sviluppi ed inviluppi della società occidentale pre e moderna e cercare di immaginare la postmoderna di qui in poi.
Per i più pigri, oltre ai già citati, c'è una vasta filmografia americana di riferimento, tra cui citiamo "Tutti gli uomini del Presidente", di Alan J. Pakula con Robert Redford e Dustin Hoffman e Good Night, and Good Luck del 2005 di e con Grant Heslov e George Clooney. Con David Strathairn, Jeff Daniels, Patricia Clarkson, Frank Langella, Robert Downey Jr ed altri.
Basta saper leggere tra le righe.
Per tutti (ma non per tutti), invece, approfondimenti ed integrazioni qui.

2 commenti: