sabato 6 ottobre 2018

Reddito di Cittadinanza

Le economie/finanze di uno Stato, di un'azienda privata, di una statale, di un condominio, di una famiglia rispondono a parametri assai diversi per essere correttamente determinate.
Il fallimento non è previsto, se i parametri sono corretti (o supportati).
Quando accade può dispiacere, può essere avvenimento grave o drammatico o addirittura tragico.
Ma non è la bancarotta fraudolenta ad essere un reato, lo è che sia data la possibilità di attuarla e, soprattutto, di farla franca.
La presunzione di evasione fiscale è, invece, l'altra faccia della medaglia, ovvero si consente ai furbetti di "provarci" e si annientano come fossero criminali i contribuenti che hanno subita una flessione negativa del fatturato per motivi peraltro non difficili da individuare, in due parole: pressione fiscale.
Che si spacci il reddito di cittadinanza per la panacea alla povertà è doppiamente disonesto: per presunta attuabilità e – nel caso fosse attuabile – per manifesta offesa alla dignità e nei confronti di chi da decenni paga tasse esorbitanti sul proprio fatturato.
Ribadisco, se l'azienda chiude, il gettito è pari a 0%, fenomeni.
Inoltre occorre considerare da dove provenga il dato maggiore sull'evasione, probabilmente non da scontrini non battuti, ma da plusvalenze (speculazioni) che sfuggono (?!?) ai controlli, dal gioco d'azzardo legalizzato, dalle manovrine a "mercati chiusi" e dai trucchetti relativi.
Pensare che il Mercato sia un moloch al quale sacrificare aziende e persone è sbagliato sia dall'angolazione complottista, sia da quella possibilista con posizione ineluttabile.
È una mia opinione, ovviamente, gli economisti non saranno d'accordo, ma d'altronde non possono segare il ramo sul quale stanno comodamente seduti.
Mi piace concludere con la frase di Luigi Einaudi che ogni economista dovrebbe tenere incisa nel marmo appesa ad una parete del proprio studio professionale:
“La frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno vessatorie e pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l’unica arma di difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco”.
Se è vero come è vero che per visione umana la schiavitù deve essere eliminata, non capisco perché si percorrano strade che perseguono l'obiettivo opposto.

sabato 15 settembre 2018

1978-1998-2018

Quaranta anni imbarazzanti


Su "I fratelli della Garbatella"

Meloni, Berlusconi, Salvini (foto Archivio Repubblica)

20 anni fa, nel 1998, si andava a Milano per discutere se Linea fosse più fruibile sul tabloid o su "elefante", come chiamavano il formato 70/100 aperto, in rotativa.
Se fosse preferibile impaginarlo a sette o a nove colonne, in Frutiger o in Times, se si dovesse prevedere occhiello, titolo e catenaccio anche di spalla, pancia e piede, oltre che in "apertura di testa".
Se si dovessero alternare caratteri "bastoni" con "grazie".
Insomma, un problema molto discusso nell'ambiente, anche se di tutt'altro significato: "apertura di testa" con "bastoni" negli anni di "piombo" valeva sia in tipografia che nei ciclostilati delle sezioni clandestine nel '77-'78.

Ma erano periodi avventurosi, meno violenti o di una violenza diversa da quelli citati, comunque non condivisi dalla mia famiglia, titubante sugli esiti e timorosa degli effetti.
Mio padre ha sempre preferito lasciarmi sbagliare da solo (frutti e conseguenze saranno soltanto tuoi, diceva, ma cattivo profeta in parte, purtroppo) e mia madre non è mai stata una crocerossina, anche se negli ultimi anni sono loro ad aiutare me, anziché il contrario.

Partimmo.
Fummo accolti – in una redazione troppo ordinata che elaborava un noto periodico altrettanto elegante – da un distinto signore che conoscevo di fama e di vista, ma non di persona.
Egli dispensò consigli tecnici e discutemmo delle problematiche di un quotidiano, che peraltro conoscevo già bene.
Avevo 32 anni e avevo maturato in precedenza un'esperienza decennale nel settore, tuttavia, misi da parte la mia spocchia tecnica e aprii occhi e orecchie (forse turandomi il naso) più speranzoso che cosciente del fatto che avevo a "portata di mouse" l'occasione per salutare con sonora pernacchia (e gesto dell'ombrello) vecchi clienti tirchi ed editori meno avari, ma insopportabilmente bizzosi.
Cosa che – col senno del poi – mi è costata la terra bruciata intorno di oggi, sia sul piano commerciale che su quello politico.
Sopravvissero soltanto vecchie amicizie apolitiche consolidate che erano più intente a fornire aiuto morale anziché chiedere soldi, nonostante fossi sparito ai loro occhi per 13 anni, totalmente assorbito dal lavoro – estenuante – che svolgevo per Linea.
Li ringrazio: amicizia, lavoro e politica devono restare su piani distinti, l'ho capito a mie spese.

Torniamo a Milano.
Il viaggio andata e ritorno in treno senza pernottamento fu un tour de force, oggi non reggerei allo stress psicofisico, soprattutto pensando all'utilità reale che ebbe, ma era una "cosa da fare", fortemente "auspicata e consigliata" da Pino Rauti che riponeva una sincera ed oculata stima professionale ed ideologica nell'uomo distinto che incontrammo a Milano.
Dimostrando, peraltro, un'apertura mentale "nazionale" e non provinciale, se non comunale, se non "di quartiere", come quella evidenziata dagli articoli linkati in fondo sulla gestione di Fratelli d'Italia e di Giorgia Meloni.

Non perdiamo il filo, però.
Inizialmente provavo invidia (positiva) per quella persona affermata e sicura di sé, avrei voluto essere al suo posto, ma quasi subito razionalizzai: era già un ottimo risultato essere stato scelto dal Segretario del Movimento Sociale Fiamma Tricolore come interlocutore degno di sedere a quel tavolo decisionale, in fondo egli aveva dimostrato stima anche in me, nel "signorino nessuno" che ero, ma più per merito guadagnato sul campo, che per blasone di famiglia: una rarità della quale sono tuttora fiero.

Tuttavia ero scettico – sono sincero – inoltre, tornare in quella Milano dove avevo prestato spensieratamente il servizio militare 12 anni prima, mi provocò un sentimento di amore-odio: non era più la Milano da bere Craxiana pre-tangentopoli di Pillitteri succeduto a Tognoli, era diventato il posto nel quale invidie e sospetti avevano preso il posto dell'imprevidente ottimismo edonista degli yuppies, sebbene Berlusconi (con Formentini, Albertini e poi Moratti) lasciasse sperare in aperture verso quella destra più moderata inaugurata da Gianfranco Fini, con Alleanza Nazionale, ma che finì come sappiamo, però, con l'esperimento fallimentare di Futuro e Libertà, una sorta di Liberi e Uguali visto da destra.

Ovunque carrozze e carrozzoni con predellino abbassato a disposizione per chiunque avesse "abiurato" il "Male assoluto", un esercizio di coerenza che, alla prova dei fatti, molti fallirono.
Chi per continuità e fedeltà intransigente alla "camicia nera", chi perché indossò (o tolse) la maschera che fino a quel punto gli aveva consentito – e gli avrebbe permesso – di continuare a galleggiare nello stagno politico post-tangentopoli.

È con sincera meraviglia che oggi leggo articoli sui "Fratelli della Garbatella", si tratta forse di un risveglio da quella che è stata negli ultimi venti anni l'illusione autodistruttrice della destra contemporanea?
Quella che ha visto i colonnelli lasciare il passo ai caporali, sperando che nuove verginità spalancassero le gambe ai vecchi marpioni, per intenderci.

Il tempo delle iene mascherate volge al termine, quindi: hic sunt leones, come piace ripetere a un caro amico.

http://www.destra.it/destre-al-bivio-per-fdi-uno-stop-definitivo-o-una-vera-ripartenza/
https://www.electoradio.com/mag/commentarii/la-destra-si-e-stufata-dei-fratelli-della-garbatella/

domenica 2 settembre 2018

IMMIGRAZIONE
Ancora sul "Cattaneo"

Scritto di Carlo Cattaneo risalente al 3 luglio 1848.
Sulle barricate contro l'invasore austriaco nelle 5 giornate di Milano,
quando il liberalismo auspicava "l'Italia degli italiani".

Sarò sincero, non avrei voluto scrivere quanto segue (non ho bisogno di altri nemici e spero di non essere frainteso), ma vi sono obbligato per amor di verità.
Pertanto non parlerò del tempo meteorologico, ma dei tempi bui che stiamo vivendo: spacco il capello in quattro perché non mi fido.
Di nessuno.
E faccio bene, dato il panorama.
A chi giova tutto ciò? Non lo so, per questo chiedo, indago, "sbertuccio" in maniera che può sembrare insolente: sono stanco di fanfaluche che gonfiano le vele a questa o a quella barca, ma non alla barca sulla quale stiamo tutti.

Dando per corretti i dati dell'analisi del rispettabile Istituto Cattaneo (poi vedremo in dettaglio) e i numeri ufficiali sull'immigrazione, in Italia "si vedrebbe triplo" nella percezione sulla presenza migratoria perché:
- non c'è una classe politica affidabile che dia l'impressione di amministrare correttamente;
- non c'è una informazione libera e svincolata da interessi di bottega, né "complottista", né main stream, pro o contro;
- siamo la "lunga e stretta portaerei del Mediterraneo" (con vantaggi e svantaggi, sicuramente);
- ospitiamo il Vaticano (o siamo ospiti del Papa?) che gestisce una vasta fascia di consenso elettorale, nel bene e nel male;
- siamo il punto di attracco più comodo, esteso e sguarnito (vedere Schengen).
- l'Europa non è quel che dice di essere, non lo è mai stata, fin dal 1815 ad oggi e bene facevano i massoni della Giovine Italia a non fidarsi, come me.

Ho letto Schengen e Maastricht allo sfinimento (non soltanto il depliant sotto, sciocchini), alla nausea, e – politichese e burocratese permettendo – ne ho ravvisato quei segni premonitori (non saprei se ingenuamente auspicati o ben mascherati da benefici per i Paesi aderenti) puntualmente avveratisi che hanno dato al populismo una ragion d'essere negli Stati che hanno risentito negativamente delle politiche imposte dai trattati firmati in nome e per conto dei popoli.
Altro che autodeterminazione.

Dimitris Avramopoulos, sarebbe interessante misurarne il consenso in Grecia.
Ragion d'essere probabilmente pretestuosa, ma questo è il risultato.
Per alcuni deprimente, per altri esaltante, è la politica, bellezza…

In altre parole, nelle altre nazioni (anche per configurazione geografica, soltanto Grecia e Spagna ci somigliano per posizione e disposizione), ipotizzo che il popolo si senta più tutelato, addirittura anche nelle "banlieue" (periferie) francesi, superato il momento del pugno di ferro di Sarkozy o il "pericolo" Le Pen, ma vedremo meglio nello svolgersi del ragionamento.

Questo il fatto inconfutabile, poiché sia i dati sul consenso populista, sia l'atteggiamento spavaldo dei comprimari o quello prudente – ma velenoso – degli avversari lo confermano.

Che l'analisi del "Cattaneo" sia rivolta agli specialisti (non alle "capre") e che ne facciano l'uso che ritengono giusto è fuor di dubbio, ma anche io – che sono un caprone testardo – ne faccio l'uso che ritengo giusto, sollevando perplessità in merito, non sulla sostanza generale, ma sul metodo di ripartizione utilizzato.
Ho diritto di parola, parlo, grazie. È la democrazia, …

NB. Non sono pagato né da loro, né dai "concorrenti", magari lo fossi: starei zitto "al calduccio" o sarei molto più critico, magari pagato da Salvini.

Ma veniamo al sodo, cioè all'analisi dello studio dell'Istituto Cattaneo, del quale avevo già fatto esame approfondito.

L'equivoco potrebbe nascere dal quesito posto, ovvero la domanda rivolta agli intervistati era la seguente:
«Per quanto ne sa Lei, qual è la percentuale di immigrati rispetto alla popolazione complessiva in Italia? ».
Ma con postilla (non si capisce se comunicata all'intervistato):
«Va precisato che, in questo sondaggio, per “immigrati” si intendono soltanto le persone nate fuori dai confini dell’Unione Europea e che attualmente risiedono legalmente nel nostro Paese».

Doppio tranello?

1) domandare a un europeo o a un australiano quanti canguri ci sono nel mondo fornirà risposte molto diverse esattamente come domandare a un montanaro della Val di Fiemme o a un bagnino di Rimini quanti "vu cumprà" (scusate il "razzismo") ci sono sui litorali italiani; uno sbaglierà per difetto, l'altro per eccesso.
In sostanza – se di percezione si parla – chi ne vede di meno, immagina che siano di meno; chi ne vede di più, immagina che siano di più.
Lapalissianamente semplice.

2) ammesso e non concesso che la postilla sia stata recitata all'intervistato, come fa questi a sapere se chi vede o immagina (parliamo di percezione iniziale che genera lo studio, non dello studio finale) sia nato in Italia o altrove e che sia "naturalizzato"?

Ma proseguiamo.
È vero che su medesime domande negli altri Paesi a parità di condizioni (ceteris paribus) hanno risposto con minor margine di errore per eccesso, ma è anche vero che (cito ancora il "Cattaneo"):
«Il primo dato che emerge dalla nostra analisi (figura 1) è che, nell’intero contesto europeo, all’incirca un terzo dei rispondenti (31,5%) non sa fornire una risposta sulla percentuale di immigrati che vivono nei loro paesi.
In alcuni casi (Bulgaria, Portogallo, Malta e Spagna) la percentuale di chi non sa rispondere supera abbondantemente il 50%, mentre l’Italia si attesta al di sotto della media europea.
Infatti, gli italiani che non sanno rispondere sono “soltanto” il 27% del campione».


Come a dare per scontato che gli italiani hanno risposto di più e hanno la risposta pronta perché sarebbero più razzisti degli altri?
Ho frainteso?
Può darsi, ma questo lo leggiamo nella prima pagina, non nell'ultima, ad analisi completata.
È la stessa cosa?
Per niente.
La disposizione del testo è stata fatta dopo l'indagine e il dato è stato posposto?
Sicuramente, ma l'approccio psicologico di chi legge è assicurato in favore di una attendibilità del documento.

Attendibilità da verificare in ultima pagina, dove si legge come sia stato conseguito il dato finale in distribuzione di frequenza.


Nello specchietto in ultima pagina dello studio vengono riportate le percentuali rilevate sul campione analizzato.

Facciamo finta di non sentire gli scricchiolii del ponte Italia e continuiamo fiduciosi: prendiamo per buono il dato parziale acquisito.
Rimane la percezione "aumentata", quindi: bene (anzi, male), ho esposto riserva esauriente nel post precedente e ho cercato di argomentare in merito distinguendo sottotipologie di "razzismi" comunque egualmente deprecabili: ho ascoltato con il mio udito commenti di insospettabili "signore" che farebbero sembrare Hitler e Stalin due scolaretti innocenti.
Tuttavia ribadisco – e tenacemente – che nelle periferie la percezione non è affatto esagerata, lo vedo con i miei occhi, non con quelli di un sondaggio a campione ristrettissimo.

Ciò non toglie, anzi minaccia, che avallare le tesi del "Cattaneo" in una situazione bollente di dissenso e voto di protesta come questa potrebbe rivelarsi un clamoroso autogoal per chi volesse servirsene per smontare i populismi e le tesi di Salvini.
Come si dice, uomo avvisato…

Questo è il punto centrale: io ho analizzato il dato con conforto di cifre a confronto, ma il popolino non farebbe neanche questo, liquidando l'analisi come una contestazione a Salvini, aumentandogli il consenso in maniera esponenziale.

Ed ora una domanda, anzi alcune.

In periferia la densità di popolazione per Kmq è superiore che in centro o in quartieri residenziali, nonostante ciò, la presenza straniera è "percepita" assai elevata in proporzione.
Dovrebbe essere il contrario: dove ci sono più puntini "bianchi", quelli "neri" dovrebbero essere maggiormente "diluiti" e meno evidenti come massa, ma evidentissimi come eccezione, come lo è una goccia di sangue sulla neve.
Perchè, invece, in periferia la "neve" diventa "rossa", anzi "nera" (come presenze e come "fascismi")?
Forse perché in un appartamento alloggiano da 1 a 4 italiani e in quello attiguo di medesima ampiezza si affollano 20 extracomunitari?
Come dite?
Lo hanno fatto anche i nostri avi quando emigravano?
Benissimo, non dimentichiamolo: potremmo doverlo fare di nuovo anche noi.
Se gli extracomunitari "percepiti" avessero tutti diritto di voto, voterebbero forse Di Maio, più probabilmente PD e dintorni, ma non certo Salvini.
E se non hanno diritto di voto, perché non lo hanno?
Non sono regolari?
Un'ingiustizia?
Può darsi, ma, in caso affermativo, le tesi del "Cattaneo", andrebbero a farsi benedire da Bergoglio, che – infatti, imbarazzato – ogni giorno cambia versione sui fatti e dirotta gli "accolti" dal Vaticano sul territorio nazionale.

A sorpresa (ma neanche troppo, per chi capisce di spostamenti di bacini di voto) il consenso elettorale a Salvini, per "osmosi razzista", giungerebbe proprio da quelle fasce – per stessa ammissione del "Cattaneo"* – che quaranta anni fa avrebbero votato per Berlinguer e Compagni vari e che popolano le periferie, ma che oggi schifano delusi il PD e mal sopportano gli extracomunitari stipati nell'appartamento attiguo.
Mettere italiani contro italiani non è mai una bella idea, figurarsi mettere stranieri contro italiani.
Non parlo di etica, ovviamente, ma di opportunismo elettorale.

* Sulla questione cito di nuovo un passo dello studio dell'Istituto Cattaneo:

«Un altro fattore in grado di spiegare i diversi livelli nella percezione del fenomeno migratorio in Italia riguarda la sfera professionale dei cittadini.
In particolare, sono i lavoratori manuali o a bassa qualifica quelli che considerano maggiormente a rischio la loro occupazione e che, quindi, possono avvertire come una minaccia la presenza o l’arrivo di persone straniere.
Al contrario, i lavoratori che svolgono mansioni altamente qualificate non vedono necessariamente messo in pericolo il proprio posto di lavoro dagli immigrati.
Pertanto l’occupazione professionale degli intervistati potrebbe avere un effetto sui loro orientamenti nei confronti dell’immigrazione.
Dai dati riportati nella figura 6, sembra effettivamente essere questo il caso: i lavoratori appartenenti alle classi medio-alte tendono a sottostimare di circa 5 punti percentuali – rispetto al valore medio nel campione italiano (25%) – la presenza di immigrati in Italia.
Invece, tra chi ha una professione riconducibile alla classe operaia (specializzata e non-specializzata) la percentuale di immigrati tende ad essere ulteriormente sovrastimata, superando il 28%.»  


Come a dire: i poveracci sono razzisti per partito preso? (o per difesa del proprio lavoro e paura di perderlo non tutelati? aggiungo io), mentre i ricchi e i raccomandati non temono l'immigrazione dalle loro "torri d'avorio"? 
La frase «le barricate e li operai vanno insieme oramai come il cavallo e il cavaliere» dal passo di Carlo Cattaneo sembra esser stata dimenticata.

A prescindere dall'analisi, basata comunque su un campione, si evidenzierebbe un atteggiamento "classista", ovvero una sorta di razzismo al contrario verso gli italiani "meno fortunati" o ignoranti?

Inoltre – paradossalmente – i proletari "comunisti" delusi voterebbero il Salvini "fascista" o – i più ingenui – il Di Maio "onesto", mentre i componenti della classe medio alta (sempre meno numerosa) voterebbero o l'area berlusconiana e dintorni, oppure il PD, a seconda della simpatia "radical".
Se è vero come è vero che le urne premiano i numeri e che questi vengono dal popolo – appunto, numeroso – non c'è da meravigliarsi se l'esito delle votazioni sia stato quello ottenuto nelle ultime consultazioni elettorali.

Insomma, non è la strada ispirata dall'Istituto Cattaneo (e credo non sia nelle loro intenzioni ispirare nulla) quella da seguire per contrastare i populismi.

In chiusura, il curatore dello studio, Marco Valbruzzi, afferma:
«Nell’insieme, emergono dunque differenze sostanziali tra gli atteggiamenti degli italiani e quelli degli europei sulla questione dell’immigrazione e delle loro conseguenze socioeconomiche.
Almeno in parte, queste differenze sembrano essere anche il prodotto di una errata percezione del fenomeno migratorio: chi ne ingigantisce la portata, è indotto anche a ingigantirne le conseguenze.»


Sulla base di quanto ho argomentato in precedenza, siamo di fronte ad una conclusione non applicabile alla totalità degli italiani?
Probabilmente.

Ma subito dopo, quasi a minimizzarne l'importanza, aggiunge:
«Però, sarebbe sbagliato pensare che il tema dell’immigrazione sia soltanto una questione di mal-percezione: perché i suoi effetti sugli atteggiamenti dei cittadini sono concreti e reali.
Ed è soprattutto con quelli che la politica e i partiti devono fare i conti».


La montagna ha partorito il topolino?
È evidente che questo studio, fine a se stesso (in fin dei conti il "Cattaneo" svolge un compito apolitico, o almeno dovrebbe), non debba essere preso ad esempio e dimostrazione e rivelazione di chissà quale verità rivelata.
Cerchiamo di essere oggettivi nel già confuso contesto informativo.



Mi preme sottolineare che non giustifico, né avallo razzismi e populismi di alcun genere, semplicemente cerco di documentarmi e documentare e – soltanto dopo averlo fatto – cerco di porre a confronto le varie tesi, per quel che mi è possibile fare con i pochi mezzi che ho a disposizione.

La disinformazione o la sottile e subdola manipolazione dell'informazione possono nascondersi ovunque ed è sempre più difficile scovarle, nonostante (o malgrado) la diffusione capillare sia accessibile a tutti, purtroppo e per fortuna.

Rispetto il liberalismo e le teorie che hanno fatto del mondo un posto migliore (o almeno ci hanno provato), ma mi sento di affermare che i primi a dover essere riformati sono coloro che le riforme dovrebbero attuarle e che, soprattutto, non credono nel liberalismo, ma in tutt'altro, oppure in quello d'accatto rappresentato dal far assurgere a "tesi portante" un sondaggio a campione.

Non sono io a non rispettare il liberalismo autentico, anzi, ne studio l'attuazione: hai visto mai che domani toccherà a me fare qualcosa per questa Italia che amo, forse da timido patriota, ma non da sovranista ingenuo, né da nazionalista estremista, né da eroe, men che meno da martire (sempre che qualcuno non voglia "gambizzarmi" per quel che ho scritto).
Lo farò, se avverrà, semplicemente da italiano.



In appendice vorrei portare alla vostra attenzione questo passaggio tratto dal libro:


«La necessità di sminuire l’apporto popolare alle insurrezioni e il rischio che con questo prendesse vita un movimento rivoluzionario più forte e radicato nella popolazione italiana, con sempre maggiore consapevolezza dell’idea di unità nazionale, fu altrettanto forte nel versante avversario.
Non a caso, subito dopo la restaurazione seguita ai moti del 1848-1849, il giornale tedesco “Ausgsburger Allgemeine Zeitung”, ritenne opportuno sostenere la tesi che il movimento nazionale italiano fosse composto da “[...] un raggiro di pochi nobili, di pochi individui della razza bianca, la quale opprimeva e spolpava la razza bruna, indigena delle campagne d’Italia”.
Argomento questo agitato dalla stampa austriaca anche in altre parti inquiete dell’Impero, percorse dagli stessi nuovi fenomeni di partecipazione popolare di massa.»

«… pochi individui della razza bianca, la quale opprimeva e spolpava la razza bruna…»
Vi ricorda qualcosa?

venerdì 31 agosto 2018

IMMIGRAZIONE
RIFLESSIONE SULL'ANALISI DELL'ISTITUTO CATTANEO

"Il paese appartiene ai cittadini... non sono al servizio dei re, ma della patria!"

Il 27 agosto 2018 è stata pubblicata dall'Istituto Carlo Cattaneo (Fondazione di ricerca) una analisi dettagliata sulla situazione migratoria in Europa, con un occhio particolare all'Italia dal titolo: Immigrazione in Italia: tra realtà e percezione

Ho "analizzato l'analisi", se mi concedete la licenza, e quel che segue sono le conclusioni, ma prima un po' di dati.

Al 31/12/2017 la popolazione censita e riscontrata come residente sul territorio italiano per l'ISTAT ammonta a 60.483.973 persone.
Tra queste, la popolazione straniera (tra comunitari ed extracomunitari regolari) ammonta a un totale di 5.144.440 pari, quindi, a poco più dell'8,5% del totale abitanti.
Tale percentuale è suddivisa in 2.471.722 maschi e 2.672.718 femmine.

Meglio suddivisi in:

Paese--Totale--Maschi--Femmine
Romania--1.190.091--505.961--684.130
Albania--440.465--225.103--215.362
Marocco--416.531--221.932--194.599
Cina (Rep. Popolare)--290.681--146.450--144.231
Ucraina--237.047--52.267--184.780
Filippine--167.859--72.599--95.260
India--151.791--89.749--62.042
Bangladesh--131.967--96.424--35.543
Moldova--131.814--44.309--87.505
Egitto--119.513--80.394--39.119
Altri Paesi--1.866.681--936.534--930.147

Pertanto, la percentuale assoluta comunicata e presa a base nel documento dal "Cattaneo" (7%) è inferiore di circa 1,5 punti percentuali rispetto al dato ISTAT nazionale aggiornato a dicembre 2017.
È diminuito in otto mesi dopo essere aumentato per otto anni?
Può darsi, ma dubito.
Questione di lana caprina, si dirà.

Non proprio, vediamo perché.

Innanzitutto – mentre la percentuale media è nazionale – la percezione è relativa al posto, visto che in periferia e in particolari zone i nuovi poveri sono in aumento ed è lì che attecchiscono gli insediamenti stranieri di fascia bassa – quella più numerosa – stando sempre ai parametri ISTAT che ho esaminato, e anche dove, per fascia culturale, i risultati del "Cattaneo" rilevano – correttamente – una "percezione" di presenza straniera superiore alla media del dato nazionale.
Ma nel dire quanto segue l'istituto fa del "razzismo civile" involontario o velato volendo combattere quello etnico?
La sentenza del "Cattaneo" sarebbe: gli ignoranti e i poveri sono più "razzisti" dei colti e dei ricchi.
Non è del tutto vero, anzi: ignoranti e poveri sono sicuramente coloro i quali hanno maggiori incontri/scontri con le etnìe "diverse", in sintesi conoscono dal vivo la situazione, anche se non hanno studiato.
Si chiama prova empirica e, fino a prova contraria, deve essere accettata come prova "scientifica", al pari – se non più – di teorie scritte, le quali necessitano appunto della prova dei fatti per essere confutate o avallate.
Quindi, a prescindere dal dato percentuale medio – generale ed assoluto – vi sono luoghi dove i dati delle presenze possono oscillare, ovvero scendere fino allo 0% in quartieri di lusso (o nelle palestre VIP), oppure arrivare al fatidico 25% percepito e più, dove la popolazione autoctona – tra l'altro – inizia a scarseggiare per problemi di convivenza dati dalle abitudini diverse dei gruppi etnici coatti e nella palestra di pugilato di periferia l'impresario "senza scrupoli" intravede un futuro campione di boxe tra quegli atletici ragazzi, morti di fame, appena sbarcati.
Pertanto, il dato relativo, in quei luoghi ha ben ragione di differire dal dato medio spalmato su tutto il territorio e su tutta la popolazione.

Sappiamo benissimo che nel Bronx, a maggioranza afro-americana, o a Little Italy, con la comunità italo-americana, vigono tuttora medesime condizioni.
E non è stato un bel vivere quasi per tutti.
In sintesi è quel che Carlo Cattaneo (lui, proprio lui) aveva definito nel "sostrato" (substrato) e "adstrato", ma che al "Cattaneo" oggi sembrano disconoscere o glissare.

Poi c'è la stima di massima – impossibile da quantificare in dettaglio, ma ottimistica, a mio giudizio – relativa agli irregolari o clandestini non censiti che ammonterebbe a sole circa 800.000* unità (sempre dati ISTAT).
Il che, però, porta la percentuale generale delle presenze straniere a sfiorare il 10% della popolazione totale.
In uno Stato che funzioni bene, sarebbe una percentuale quasi irrilevante; in Italia, invece, comporta un problema che non può che peggiorare, visto che le politiche di immigrazione, regolarizzazione e integrazione (più per doveri che per diritti) fanno acqua da tutte le parti.

*Il dato, ovviamente, varia di giorno in giorno, tra invisibili, identificati, espulsi e nuovi arrivi non ancora registrati.

La percezione, specialmente per quel che riguarda la presenza commerciale (non solo cinese, spesso senza controlli fiscali e senza registratore di cassa), è ben superiore e lascerebbe intuire un alto numero di irregolari "invisibili", ma che devono pur sopravvivere come schiavi negli scantinati (la situazione del tessile di Prato è nota), quindi consumano, anche se sempre meno di quel che producono per conto dei loro aguzzini connazionali.

Inoltre, si tratta dell'etnìa in maggior concorrenza nel commercio all'ingrosso – noto il blitz delle Fiamme Gialle a Roma presso CommerCity, dove "postazioni" cinesi (il 50% del totale presente) presentavano un fatturato assolutamente risibile e talmente incongruo rispetto al volume d'affari che quasi non giustificava le locazioni – e al dettaglio con la rappresentanza italiana, già provata dalla forte concorrenza della grande distribuzione, sia alimentare che di accessori vari (dagli alimentari, ai ristoranti, alle pizzerie, ai casalinghi, all'elettronica), la quale spesso attinge ad importazione cinese: la straordinaria somiglianza tra i prodotti "griffati" in vendita nei negozi "brandizzati" (per usare un orribile neologismo angloitaliano) e quelli rivenduti nelle migliaia di negozi cinesi sovente non evidenziano differenze qualitative, a volte anche di prezzo.
Non si tratta di falsi o copie contraffatte, si tratta di partite di medesima merce che viaggiano in un corridoio d'importazione parallelo.
Nonostante il lavoro della GDF, vi è tuttora penuria di controlli e mancanza di una regolamentazione fiscale adeguata da parte dello Stato: non può e non deve essere la microeconomia del cittadino – con il vituperato mantra "compra italiano" – a risollevare le sorti della macroeconomia nazionale, servono maggiori controlli, ma soprattutto regole sul cosiddetto commercio extracomunitario.

Ci sono molti immigrati perché fanno lavori che gli italiani non vogliono fare?

NO, FALSO. Sono lavori che gli italiani non possono fare: non conviene, non hanno né spalle coperte, né santi in paradiso, le spese e la tassazione azzerano i ricavi e spesso li superano.
Ma veramente credete che il susseguirsi di suicidi tra gli imprenditori "storici" sia imputabile alla sfortuna, ad un investimento sbagliato?
Chi afferma queste cose dimostra di non voler vedere oltre il proprio naso o orticello che sia.
In assenza di regolamentazioni, ognuno continuerà a fare quel che più gli conviene – è inevitabile, quasi giusto – ma così, il libero mercato, da sogno di libertà ed equità diverrà incubo e tomba dell'economia nazionale.
Tanto che le "casalinghe di Voghera" non comprano più italiano, ma quel che è venduto al prezzo più basso.

Ciò, tra l'altro, comporta una emorragia di capitali liquidi verso altri Paesi, sotto varie forme – basti pensare anche all'enorme numero di badanti straniere che trasferiscono valuta ogni mese – oltre a quelli che già fuoriescono più o meno dichiarati con il commercio online.
Venti anni fa scrissi un articolo in proposito proprio per non demonizzare l'ancora quasi sconosciuto e nascente commercio elettronico, ma se questo funziona a senso unico, l'andamento (il trend) non potrà che siglarne una brutta fine.
Non vedo preparazione al governo, né all'istruzione, alla ricerca, all'innovazione, né tra i vecchi, né tra i nuovi, che lasci sperare misure adeguate, le frontiere colabrodo per gli esseri umani sono ben poca cosa rispetto alle merci, ma non è affatto una questione svincolata.

In conclusione, penso che evidenziare un presunto "razzismo" generico degli italiani su basi che hanno riscontro soltanto nelle fredde statistiche a campione, non faccia altro che ottenere l'effetto contrario: chi non era "razzista", lo diventa.

Gli aguzzini bianchi nelle piantagioni di cotone negli "Stati del Sud" erano altra cosa, questa è sopravvivenza, non sfruttamento: è mors tua, vita mea.

Fatte salve le deprecabili speculazioni politiche – oculate o avventate che siano – le quali, comunque, hanno fatto in modo che "regioni rosse" diventassero, per protesta, "grilline" o "fasciste", altro termine utilizzato a sproposito, se non per la sua accezione nazionalista, forse patriottica che non sarebbe dispiaciuta neanche al Carlo Cattaneo del '48.

Sembra proprio che il pericolo vero venga sempre da nord, ma ci fanno credere che venga da sud?













lunedì 13 agosto 2018

Il mostro gialloverde e…


La resa dei conti

Dati Gennaio 2018 - Il Fatto Quotidiano

La situazione politica attuale è probabilmente frutto di un "congiuntura comportamentale" delle principali forze antagoniste che – per semplificare – chiameremo DESTRA e SINISTRA.

Prologo

A DESTRA ci si è sempre presi un po' troppo sul serio (da Odino a Wagner,  tra tavole rotonde e Conclavi plebiscitari al Papa polacco, però) in una bellissima ed immaginifica visione della realtà, a volte confermata, ma più spesso smentita da fatti e personaggi susseguitisi sulla scena.
Che cosa divide la DESTRA?
È forse la questione impegnativa del "Dio, Patria e Famiglia", impossibile da gestire tra monoteismi cristiani (ed ebraici) e politeismi del Walhalla? tra repubblicani, monarchici e sansepolcristi? tra "famiglia Brambilla" e "stile Califano"?
Vedremo più avanti.

A SINISTRA, invece, ci si prendeva meno sul serio, consapevoli del fatto - non di essere seri - ma di essere "culturalmente" (e a ragione, per molti versi) molti gradini più in alto, anche se aver letto molti libri non significa necessariamente averli compresi o correttamente interpretati.
Su questa riva, comunque, a prima vista, le cose sembravano semplificate.
Vediamo subito.
Nessun Dio di alcun Tempio cui rendere grazie, nessuna Patria da onorare, né Nazione da difendere, ma soltanto uno Stato marxista (spesso assistenziale).
Mentre la diatriba (occultata) era tra "famiglia Fantozzi" – che scopre le teorie del "proletariato vessato dai padroni" soltanto grazie alle rivelazioni "dotte" di un Folagra metà anarchico, metà autonomo nelle intenzioni, ma tragicamente "dipendente" nei fatti – e lo stile "Ikarus" di D'Alema, archetipo del radicalchic nell'immaginario collettivo di DESTRA, che addirittura schifa Capalbio per veleggiare dove più gli pare: lui – secondo alcuni – i Rolex li indosserebbe una volta soltanto, poi li regalerebbe agli "inferiori", cosciente di quanto lo status symbol sia più una gabbia, che un paio d'ali.
Anche se Icaro – aggiungiamo – con le sue (di cera) poi precipitò essendosi avvicinato troppo al calore del sole (dell'Avvenire*).

Non sto qui ad elencare la bibliografia e la biografia degli autori di riferimento relativi alle appropriazioni indebite dell'una e dell'altra parte.
È corposa e la potete trovare facilmente in rete, mantenendo distacco, senso critico e verifica incrociata delle fonti, però: non chiedete mai all'oste se il suo vino è buono, la risposta sarà ovvia.

Quanto espresso farà mugugnare gli intellettuali (o presunti tali) soprattutto di DESTRA, ma è un fatto: il divario tra "chi ha studiato" veramente e chi si è pigramente appoggiato alle teorie "destrorse" e "sinistrorse", spesso travisandole e manipolandole ad usum delphini, è abissale.
È la nota teoria del lampione spento di notte**: anche se non si vede a un palmo dal naso – anzi, proprio per questo – è pur sempre un appoggio.

*-**A DESTRA sostengono che non c'è notte così lunga da impedire al SOLE di risorgere con riferimenti più al Dio Sole che alla stella che ci scalda e illumina, a SINISTRA aspettano ancora il Sol dell'Avvenire, ma utilizzando medesima iconografia del Sol Levante che, però, nasceva prima sul Giappone dell'asse Ro-Ber-To dell'Imperatore Hirohito (il Patto d'Acciaio con Hitler e Mussolini) che sulla Cina comunista di Mao.
Avvenire è anche la Testata indipendente, ma di ispirazione cattolica che tratta notizie di interesse socio-umanitario con i medesimi toni dell'apertura all'accoglienza auspicata dalla sinistra, ma con motivazioni dalle sfumature diverse.
Particolari, si dirà, ma comunque interessanti per avere un quadro completo sulla visione delle due fazioni.

Quindi, sintetizzando:

- a DESTRA si schierano alcuni intellettuali relativamente rilassati, altri nervosi, se non isterici pseudo intellettuali radicalchic e, infine, militanti variegati non classificabili in dettaglio, più o meno estremisti e non sempre presentabili nei salotti buoni, poiché, al pensiero ponderato, preferiscono l'azione non ponderata.
Stanno quasi tutti in piedi: Marcia su Roma!

- a SINISTRA ci sono intellettuali quasi sempre in piedi, poi intellettuali e non seduti o sdraiati, comunque molto rilassati radicalchic e, da ultime – funzionali, per voto e utilizzo – ci sono le masse proletarie alla mercé, un po' per scelta di comodo, un po' per obbligo naturale, a quanto è dato sapere.
In piedi e di corsa: la Lunga Marcia.

Un esempio metaforico accessibile a tutti

La DESTRA postfascista di Almirante e predecessori ha ideologicamente fornito case nere del fascio con mobili neri nelle quali abitare, ma non si poteva cambiare né il colore, né la disposizione interna.
Ciò è funzionale alla rigida (e auspicata) formazione di derivazione militare del "camerata", ma – esaurito il tempo della militanza, che termina inesorabilmente dopo qualche anno – l'impostazione marziale va stretta a tutti, sia agli intellettuali (tra i quali ci sono spocchiosi "battitori liberi", come amano definirsi) sia agli ignoranti che pensano ormai di sapere e che fanno della spocchia di rimbalzo un innalzamento culturale da guerriero rozzo a samurai evoluto, fino a grottesco piccolo borghese dal Saluto Romano facile.
Gesto del quale non comprendono le impegnative implicazioni diritti/doveri di una società che non contemplava libertà e democrazia, ma impero aristocratico e schiavitù plebea.
Insomma, si vorrebbero unire la marzialità di Sparta e la cultura di Atene, se si preferisce come esempio.
Bello e impossibile.

La SINISTRA antifascista di Togliatti (più che comunista di Berlinguer o Ingrao) ha, invece, ideologicamente fornito mattoni rossi per costruire case e mobili rossi da posizionare come si riteneva più opportuno.
Ciò ha dato la sensazione, ingannevole, di libertà e uguaglianza – sfociando spesso nell'anarchia illusoria (Folagra-Fantozzi) – a tutti i compagni, i quali l'abitavano felici (talvolta a sbafo) e si sentivano tutelati nella casa pur rossa dai mobili pur rossi con i cassetti pur rossi.
Una "militanza diluita", quasi inconsapevole, più furba che intelligente e assai meno impegnativa per tutti, ma sicuramente più funzionale* al Partito che a loro stessi come singoli: la differenza tra unità ed unione più volte ribadita altrove.

*Quando fu il momento della responsabilità di Governo voluta da Berlinguer, sia i seguaci di Amendola che quelli di Ingrao (per non parlare di quelli di Cossutta) fecero un silenzioso e cauto passo indietro: era meglio rimanere all'opposizione, sotto l'ascella sinistra protettiva della DC, anziché rischiare crisi di fiducia delle quali assumersi responsabilità davanti al popolo che avrebbe iniziato a porre scomode domande su come mai i difensori dei proletari, una volta al governo, non fossero capaci di attuare le premesse e le promesse dello Stato perfetto.
Togliatti era morto da tempo, chissà come avrebbe agito?

PS: L'intellettuale-contadino è uno studioso di buona famiglia con l'hobby dell'orto in casa; il contadino-intellettuale è un povero bifolco con aspirazioni superiori; il primo è un radicalchic "di sinistra", il secondo è un proletario comunista autentico.

Lo status quo

Ci fu, quindi, il tentativo dello sfondamento a SINISTRA da parte della DESTRA "transigente" (non si equivochi e non si estenda arbitrariamente, continuate a leggere) che ha visto pochi esponenti di quel mondo impegnati nel tentativo – intrapreso più o meno in buona fede, più o meno seriamente, ma comunque miseramente fallito – che non piacque ai duri e puri "intransigenti".
Ne citiamo tre tra quelle che riteniamo maggiormente rappresentative nel panorama del Movimento Sociale post Almirante, anche se in esse, ad esse e da esse sono inglobate, congiunte e ne sono scaturite altre che tutt'ora rappresentano la scriteriata frammentazione del centro-destra/destra/estrema-destra.
Ci si riferisce, in particolare*:
- all'«Abiura di Fiuggi» e al «Male Assoluto» di Gianfranco Fini con Alleanza Nazionale;
- all'evitare inutili e dannosi «torcicolli in camicia nera» (ma senza rinnegare il passato) di Pino Rauti;
- alle notevoli disamine di Giano Accame, probabilmente il più equilibrato nell'esporre lucidamente la propria teoria della retorica della transigenza**, la quale avrebbe meritato maggiori attenzione e seguito.

* NB: Se questo excursus vada dal migliore al peggiore o viceversa, oppure in ordine diverso, dipende da chi legge, non da scrive. 
** Per approfondimenti: 
RETORICA della TRANSIGENZA - Giano Accame attraverso i suoi libri, di Carlo Gambescia, Edizioni IL FOGLIO, Piombino, giugno 2018.

Poi venne il turno della SINISTRA: sopravvissuta "miracolosamente" a Tangentopoli – forse graziata da Di Pietro, chissà? – ma pesantemente fiaccata dalla caduta del Muro di Berlino (e di Mosca), fu costretta a provare con lo sfondamento a DESTRA, con i vertici oramai consapevoli del fatto che la strada del "comunismo ad oltranza" fosse – se non un vero e proprio vicolo cieco o addirittura un suicidio – quantomeno un percorso giunto al bivio delle "decisioni epocali", per dirla con Pino Rauti*.
Ecco spiegate le continue metamorfosi dell'ex PCI con le numerosi ridenominazioni nel tempo fino a giungere al Partito che si definisce Democratico per antonomasia, tradendo, così facendo, le stesse intenzioni democratiche.

*Pino Rauti, un politico molto più attento alle modificazioni in atto tra le file degli avversari che presso le proprie, probabilmente sottovalutandone o sopravvalutandone i componenti.
Un errore strategico, più che tattico, se vogliamo: nonostante il proverbio diffuso "camerata, camerata, fregatura assicurata", Rauti si fidava del suo entourage, anche perchè, dopo la scissione di Fiuggi, non era poi così numeroso: era solito dire che più che militanti erano rimasti milipochi, dimostrando spirito umoristico in una situazione preoccupante per il MSFT.
Di questo parlerò più approfonditamente in un capitolo dedicato di un libro di prossima pubblicazione che riprende le argomentazioni citate nella nota precedente.

Epilogo

Il ventennio che da Occhetto porta a Renzi, passando per D'Alema, è testimonianza della trasmutazione auspicata dalla SINISTRA, anche se ciò ha creato facili entusiasmi prima e altrettante delusioni e disillusioni poi.
Pertanto, mentre i pochissimi duri e puri di entrambe le sponde sono rimasti fermi dove erano – ma senza rappresentanti all'altezza del gravosissimo compito irrazionalmente autoassegnato – il grosso del bacino di consenso si è fisiologicamente travasato in 5 Stelle.

Grillo e Casaleggio.
Infatti, così come la Lega Nord e la Liga Veneta intercettarono il malcontento tra i nordisti verso il centro-sud "pigro e ladrone", così l'architetto (Casaleggio) – non il geometra (Grillo) – ha intelligentemente intercettato il malcontento tra popolino e governanti, inventando dal nulla (è il caso di ribadirlo: NULLA) un Movimento destinato a diventare "partito", cosa peraltro già inclusa nella partizione concettuale iniziale: "noi siamo tutti onesti, chi non è con noi è un ladro".
Un'inversione dell'onere della prova assertiva esclusiva e non inclusiva (se sei onesto, vieni con noi) tipica di chi non ha altri argomenti se non quelli costruiti su un tavolo di un'agenzia pubblicitaria per inventare un plus per un prodotto che non ne ha.
Infatti si tratta di una commistione tra inclusivo ed esclusivo che è una contraddizione in termini trasformata in slogan di successo e di consenso.

Salvini.
Non è neanche un caso che pure la Lega abbia cambiato pelle, cioè che da movimento separatista/secessionista esclusivamente "padano" si sia trasformata nel "Partito di Salvini", Nazionalista "ad libitum et officium", con codazzo di sovranisti di comodo.
Ciò non meraviglia: l'esperienza da gregari "fondamentali" con Berlusconi ha insegnato loro come comportarsi, anche se, sia la Lega, quanto i 5 Stelle, sono innamorati della voglia di governare che aveva Berlinguer, ma ignorano completamente le motivazioni della prudenza di Amendola, Ingrao e Cossutta: il popolo elegge, il popolo distrugge.

Conclusioni

Quando parlo di mostro bicefalo/acefalo gialloverde, mi riferisco a questo brodo "ultimordiale" (scusate l'ennesimo neologismo orribile, ma visionario e calzante).

La stella da sceriffo è sul cuore, a SINISTRA, il portafoglio è nella tasca posteriore DESTRA, portando la mano dall'una all'altro ci si ferma spesso sulla pistola, quando si arriva al redde rationem.

Di Andreotti ne nasce uno ogni duecento anni, di cialtroni opportunisti ne nascono dieci al giorno.

domenica 12 agosto 2018

Un giro dalle parti del libero arbitrio*


Scambio di merce e merce di scambio


Ognuno spende i propri soldi come vuole o ognuno si suicida come vuole?


La società – a mio giudizio, badate bene – può essere (e dico può, non affermo che è) subdolamente veicolata con bisogni indotti.
Si potrebbe obiettare che esista il libero arbitrio, certo, esiste: ognuno è libero di spendere i propri soldi come vuole, oppure regalarli o donarli (se gli avanzano). O, ancora, prestarli ad usura, ma questo è un altro discorso.
Se – in moltissimi casi – si tratta veramente di consapevole libero arbitrio, in molti altri di che cosa si tratta? Di bisogno di status symbol? di emulazione? o di chissà cosa altro?
Di qui, l'induzione al consumo e, da quello motivato e consapevole al consumismo, il passo è breve.
Non interessa qui il caso del miliardario che consuma tutta la cocaina in circolazione (né interessa come sia diventato ricco, né come abbia deciso di suicidarsi, per inciso), ma il caso del metalmeccanico che spenda due interi stipendi per un articolo soggetto ad obsolescenza precoce (e probabilmente programmata, con guasto immediato appena scade la garanzia) e valore intrinseco nullo, anziché investire quel poco che ha o che guadagna in qualcosa di duraturo, utile o addirittura indispensabile.

"Affari loro" – direte.
Fino a un certo punto: tra "quelli che non arrivano alla fine del mese" ci sono quelli che stringono la cinghia, ma ci sono anche i furbetti, cioè i questuanti del "reddito di cittadinanza", del diritto alla casa popolare senza diritto, della decrescita felice, del livellamento verso il basso, dell'assistenzialismo statale, ovvero, un costo sociale per tutti non compensato.
È, probabilmente, l'humus migliore per il germogliare dei populismi generati dall'invidia sociale.

Analizziamo.
"Se non hanno i soldi per mangiare, figuriamoci per risparmiarli" – direte ancora.
Sì, vero, in effetti si risparmia quando si può per sopravvivere quando non si può più farlo, ma allora perché spendere soldi a casaccio in periodi di vacche magre?
Non stupisce, quindi, che ad accrescere il numero dei "complottisti di comodo" (non i pochi che distinguono tra teorie campate in aria e quelle sulle quali è opportuno e consigliabile porsi delle domande) vi siano persone perlopiù appartenenti a questa categoria.
Ma non soltanto e non tutti, come anticipato e come cerco di spiegare.
È fisiologico: se non stai bene (o fingi di star male), chiedi aiuto, invochi protezione o denunci persecuzione, ma – proprio per questo – occorre distinguere tra bisognosi autentici e i furbetti citati.

Vediamo.
Le cronache e le statistiche ci raccontano che sono aumentati i suicidi tra persone che hanno perso il lavoro e tra imprenditori "sfortunati".
Cinicamente si potrebbe affermare che un suicida sia una bocca in meno da sfamare, ma sono anche due braccia tolte all'agricoltura (che gli italiani… etc.), all'industria (sempre più delocalizzata), al commercio (sempre più in mano a grande distribuzione ed esercenti stranieri), ai servizi (sempre più scarsi), al lavoro in genere, insomma alla produzione che dovrebbe generare il PIL e, di conseguenza, consentire i consumi.
Un corto circuito.

Non mi sembra che si tratti del migliore dei mondi possibili; possiamo accontentarci, sicuramente, potrebbe andare peggio (e sembra la strada imboccata), ma si potrebbe anche fare di molto meglio.

Ma attenzione: quando dico "non è il migliore dei mondi possibili" intendo dire che non è ANCORA il migliore dei mondi possibili: non rimpiango alcun "bel tempo andato", se non la mia spensierata giovinezza, che nulla ha a che vedere con i secoli e i millenni precedenti, imperi mediterranei, mediorientali, asiatici, centro-sud-americani, medievali, barbarici, rinascimentali, illuministici o risorgimentali in ordine sparso con le loro "religioni" politeistiche, monoteistiche, ecclesiastiche, confessionali, fideistiche, laiche e profane.
Pertanto la mia è una visione futuribile, non "passatista": "si stava meglio quando si stava peggio" o populista: "è tutto un magna-magna".
Sono moderatamente ottimista, ma rimanendo nell'ambito del realismo, però, senza derive new-age, l'era dell'Acquario o roba del genere hanno già prodotto delusioni, disillusioni e, talvolta, disastri.
Quindi non sono contro la modernità e il progresso: infatti ho qualche riserva sulla teoria di Massimo Fini sul "Denaro sterco del demonio".
La definizione, inoltre, contiene una contraddizione in termini, cioè "de-monio", anche se l'autore cerca di distinguere tra denaro senza valore intrinseco e con valore attribuito, ma inteso come merce di scambio (il denaro non è il mezzo, ma il fine), e moneta con valore intrinseco o attribuito intesa come strumento (mezzo) di scambio di merce in sostituzione del baratto.
Ovvero della trasformazione della produzione per fabbisogno alla trasformazione in consumatori seriali, semplificando in eccesso, lo so.

Per alcuni non esistono le famiglie che non arrivano a fine mese, d'altronde, da sempre, la saggezza popolare sostiene che il sazio non crede all'affamato.
Tale negazione è spiegata dall'assunto aprioristico – erroneamente generalizzante – che si tratti indistintamente di "paraculi fancazzisti" (i furbetti), quelli che sanno soltanto chiedere allo Stato in maniera parassitaria nei confronti degli altri che producono.
Pertanto, occorrerebbe seriamente mettere mano alle statistiche, pur sempre troppo ottimistiche: è più facile indicizzare i redditi (furbetti a parte) che individuare l'invisibile che muore di fame.
In ogni caso, non si possono prendere a campione soltanto i dati che confortano il proprio assunto aprioristico, non è intellettualmente onesto.
E poi, come si fa a definire la produttività?
Per il metalmeccanico o l'impiegato statale, il filosofo è un fancazzista e, spesso, viceversa, se il filosofo è un furbetto.

Occorre anche precisare – però – che la massa dei "complottisti di comodo" si annida nel ceto di livello medio-basso, sia economicamente che culturalmente, ovvero quelli (molti, ma non tutti) che chiedono assistenza allo Stato per i bisogni di prima necessità (casa, sussistenza alimentare e servizi), ma dilapidano quel poco che si guadagnano in beni futili o inutili.
Coloro i quali hanno rendite da posizione (impiego statale et similia) oppure i benestanti da rendite personali, non hanno motivo di lamentarsi, se non in maniera marginale, blanda, magari ipocrita, ma sicuramente non in misura "complottistica": non converrebbe loro smontare un sistema che, tra alti bassi, tutto sommato, li lascia vivere abbastanza bene.

Attenzione: non criminalizzo alcuna delle categorie citate, come vorrebbero fare (e hanno fatto) assolutismi e autoritarismi che pretendono di "educare" il singolo per educare il popolo, ne faccio soltanto una lettura analitica, pertanto si tratta innanzitutto di un'analisi più profonda sulla natura antropologica del singolo che soltanto successivamente sfocia in quella sociologica, come fenomenologia delle masse.
Non a caso quando parlo di status symbol o di che cosa altro? sono interrogativo, non assertivo.
In sintesi non sono teorie definitive sul giudizio finale alle persone e alla società, ma soltanto domande funzionali allo sviluppo del ragionamento, tenendo sempre presente che la libertà di chiunque finisce non quando (tempo), ma dove (spazio) inizia quella altrui.
Per questo motivo il libero arbitrio funziona bene in modalità soggettiva e scricchiola in quella oggettiva/collettiva.
Questo è quel che penso, giusto o sbagliato che vi sembri.
Questo è quel che è, altrimenti non è.
Né libero arbitrio, né libertà, né niente altro.



*Libero arbitrio
da http://www.treccani.it/enciclopedia/libero-arbitrio/
Espressione usata per indicare la libertà dell'uomo, i cui atti non sono determinati da forze superiori (di tipo soprannaturale o naturale), ma derivano da sue autonome scelte.
Nata sul terreno delle discussioni teologiche cristiane, in relazione alla conciliabilità tra onnipotenza e onniscienza divina e libertà umana, è in connessione con i problemi della grazia, della predestinazione e dell’origine del male. 

S. Agostino distingue il libero a. dalla libertà perfetta, che l’uomo avrebbe perduto in seguito al peccato originale, identificandolo come quel posse non peccari per cui esso diviene essenzialmente inclinazione al bene, pur potendo volgersi al male.
Nella scolastica il concetto di libero a. venne sviluppato in connessione al problema della volontà e della razionalità della scelta.
In S. Tommaso esso viene a identificarsi con la volontà e la volontà libera non può non attenersi ai dettami della ragione.
In antitesi all’intellettualismo tomistico una concezione volontaristica tende a ritrovare la libertà del volere nella totale indipendenza della volontà rispetto ai motivi dell’agire: così in G. Duns Scoto la libertà è intesa come possibilità di determinarsi ad azioni opposte, mentre in Guglielmo di Occam si accentua il carattere arbitrario della scelta, l’indifferenza rispetto a qualsiasi tipo di motivazione.