venerdì 19 ottobre 2018

Il pensiero e l'azione
Volontà, talento, possibilità





Si è già scritto in proposito, lo so.
Non cito, perché da Mazzini in poi (ma anche prima) la lista è lunghissima ed abbraccia (o aborrisce) numerose ideologie, religioni "laicizzate" e surrogati vari.
Spesso il pensiero e l'azione vengono erroneamente considerati "universali", ovvero, chi pensa una cosa, la farà sicuramente, qualora ne abbia – sintetizzando, ovviamente – volontà, talento e possibilità.
Questo impianto, però, genera subito un equivoco che le tre peculiarità elencate – al pari indispensabili e che analizzeremo più avanti – non riescono ad evitare, o meglio: c'è bisogno che tutte e tre siano presenti e soddisfatte (conditio sine qua non) affinché si possa e si voglia procedere correttamente.

Iniziamo con una metafora plausibile e ricorrente, ma non limitante.
Poniamo a confronto due categorie: l'intellettuale e l'agonista (allenatore e giocatore, se preferite, o pedine e pedoni negli scacchi).

Assunto
Il pensiero dell'intellettuale sarà più potente di quello dell'agonista, mentre la sua "spada-penna", sarà più debole, se poi non verrà seguita dai fatti che qualcun altro dovrà "interpretare" e/o attuare.
Per restare in metafora calcistica, un allenatore bravo senza una squadra forte può vincere poco o nulla.
Pertanto, in un romanzo o in un film – come d'altronde nella vita – si palesano, a salire: figuranti (comparse), personaggi, interpreti (appunto) e protagonisti (e antagonisti).

(Da non confondersi con «uomini, mezzi uomini, etc.», questo è un altro discorso che vedremo in un altro post.)

I figuranti o comparse
Si tratta, appunto, di figure anonime, che fanno soltanto da sfondo, ma, senza di esse – come spettatori o come comparse – alla scena mancherebbe qualcosa di fondamentale: la sensazione dell'opinione pubblica, del consenso o del dissenso; insomma, della "democrazia rassicurante", spesso fallace.
Sono quelli che salutano (non soltanto anziani, donne e bambini) i combattenti in partenza o esorcizzano il momento tirando ortaggi e uova marce a colui che è alla gogna o viene trasferito al patibolo sperando di non finirci (oppure tiravano monetine a Craxi o sputavano sul cadavere di Mussolini).
In un ambito militare rappresentano la truppa.
Sono gli orchi o i villici nel Signore degli Anelli, ma stesse categorie si possono trovare in tutte le saghe, come in Guerre stellari, ad esempio.

I personaggi

A differenza delle comparse, parlano e interagiscono, ma conferiscono anche ipotesi di dignità ai figuranti poiché essi – con un colpo di scena – potrebbero essere promossi da un momento all'altro a personaggi; però non avranno mai un ruolo decisivo o definito, per questo entrambi – sia figuranti che personaggi – non possono e non devono diventare interpreti.
Anche loro salutano e tirano ortaggi e uova marce, ma in prima fila, si fanno riconoscere, ce ne ricordiamo.
Sono i sottufficiali in ambito militare.
Sono genericamente gli elfi, i nani e gli hobbit o Shelob, nella fantasia tolkeniana.

Gli interpreti
Hanno un ruolo decisivo e/o definito, si muovono con sicurezza sulla scena oppure sono caratterizzati da eccessiva paura o timidezza; senza di loro la storia non potrebbe svolgersi, di solito muoiono (o spariscono) eroicamente o stupidamente, dipende dal ruolo.
Di più, la loro "scomparsa" può essere da sprone, essere la molla decisiva per la svolta della storia.
Possono essere, infatti, addirittura co-protagonisti o co-antagonisti.
Sono quindi coloro che vanno "a la pugna"; oppure finiscono alla gogna o al patibolo.
Sono ufficiali superiori.
Sono Boromir, Legolas e Gandalf, Vermilinguo e Gollum nel capolavoro di Tolkien.

Tutti componenti delle tre categorie citate finora "fanno" (o non fanno) qualcosa, mentre quelli che impersonificano la successiva – la più importante – non "fanno" soltanto qualcosa, ma "sono" anche qualcuno.
Vediamo.

I protagonisti
(o, più correttamente, proto-agonisti) e antagonisti.
Sono coloro che agiscono e reagiscono spalleggiati (o osteggiati) da personaggi e interpreti, ma questi non sono sufficienti a definirne importanza o coraggio, la grandezza, insomma, l'eroicità immortale.
La "figura" fondamentale in questo ruolo è l'ant-agonista, spesso negativa nei romanzi o lungometraggi "eroici", ma non necessariamente: in un film sulla mafia, visto dall'angolazione dei "cattivi", un capo mandamento è il protagonista negativo, mentre un magistrato è l'antagonista positivo, insomma, non si tratta di valori assoluti.
Sono i comandanti che si pongono alla teste delle truppe "buone", quelli dell'armiamoci e partite in quelle cattive.
Sono Frodo e Aragorn, Sauron (figurato) e Saruman (convertito), sempre nella saga citata.

Completata la carrellata di tipo "cinematografico-storico-militare", torniamo a chi fa che cosa e perché lo fa.
L'azione, dunque.
Da chi è pensata?
Da chi la pianifica, ma poi rimane alla propria scrivania?
Da chi è realizzata?
Da chi la pianifica e da quella scrivania poi si alza?
Oppure è una deduzione "plurale" che trova un "interprete" di comodo con smanie di "protagonismo"?
Come si inseriscono Berlusconi, Grillo, Casaleggio, Di Maio, Salvini e gli altri in questo quadro?

Difficile dirlo, ma in proposito concordiamo con Machiavelli il quale individua i "profeti armati" e quelli disarmati.
I primi avrebbero speranze di fare qualcosa e riuscire nell'impresa, perché sono ambiziosi, impegnati politicamente, schierati ideologicamente e – perché no – pronti ad imbracciare le armi, se necessario; mentre i secondi sono destinati comunque al fallimento, poiché il loro pensiero – seppur giusto – è sterile e non trova seguito, poiché mancante del traino, ma dispone soltanto di una spinta iniziale insufficiente.
I primi sono protagonisti* o antagonisti*, i secondi sono al più interpreti (ma più spesso sono personaggi) dei quali i primi si servono per portare a termine – o sabotare – l'azione.

*Gabriele D’Annunzio, André Malraux e Lord Byron – probabilmente "mitizzati" – rimangono tra i rari casi (relativamente recenti) nei quali sia il pensiero che l'azione sono stati frutto della mente e del braccio appartenenti a medesimo corpo.
NB. Bisogna distinguere le azioni "eroiche" da quelle di pura propaganda, spesso attuate con volontà e possibilità, ma senza talento, come vedremo in seguito.


Volontà, talento, possibilità
Inquadrati gli attori, vediamone le capacità.
Volontà e talento sono presenti in maniera inversamente proporzionale nelle figure estreme: i membri della "democrazia fallace" hanno molta volontà (in teoria), ma poco talento; mentre i protagonisti hanno probabilmente almeno un forte talento, ma scarsa volontà*.

*È più semplice raggiungere la vetta che rimanerci, una volta giunti, la "prudenza" è d'obbligo: ci si fa più male se si cade dal decimo piano che dal primo, ma si considera sempre che – in caso di alluvione – in alto si resta vivi e asciutti, però occorre anche evitare incendi nei quali periscono maggiormente gli abitanti dei piani alti.

La possibilità, invece, si può trovare indistintamente, anche se è più interconnessa* con il talento che con la volontà.

*In proposito, è bene ricordare che il TALENTO è una misura di peso, poi trasformata in valuta (valore) sulla base di quanto, appunto, "pesava" la singola moneta coniata in valore intrinseco ("a peso d'oro", ad esempio).
Successivamente, al TALENTO, è stato attribuito anche un significato etimologico di "dono del Signore" dalle molteplici accezioni: dalla concessione dell'agio del signore (detto signoraggio) a quella religiosa del "dono di natura", inteso come caratteristica peculiare fisica o possesso di capacità particolari, fino ai poteri "medianici" (spesso illusionistici, però).



Conclusione
Possedere molteplici talenti senza volontà (ved. parabola dei…) equivale ad avere volontà senza talenti, in entrambi i casi la "possibilità" è insufficiente.
E quindi a nulla vale averne in quantità: "Con un talento in più si è spesso più insicuri che con uno in meno: come il tavolo sta meglio su tre che su quattro gambe", come sembra abbia affermato Nietzsche, data la forma, ovviamente: un tavolo tondo sta bene su tre gambe, uno quadrato o rettangolare, no.
Il governo attuale poggia su tre gambe (Conte, Salvini, Di Maio), il che, se fosse una "tavola rotonda" (a proposito di saghe) evidenzierebbe una certa stabilità, ma siccome denuncia un talento mancante, si basa su un equilibrio precario.

Nessun commento: