sabato 6 ottobre 2018

Suicidio politico
La resa dei conti o i conti della resa?

Preambolo
 
Ho letto molto, ma ancora non abbastanza, sul suicidio spontaneo o indotto.
Tralasciando le tecniche utilizzate e i "suicidati" (si allargherebbe troppo il discorso), mi appoggio per semplicità nuovamente a due categorie che, a giudizio di molti, sono oramai desuete.
Se a livello cognitivo razionale ciò è probabilmente vero, non lo è per quanto riguarda l'inconscio (o subconscio) che si appella a un bipolarismo e a una dualità sia "egoica" che plurale, ma non pluralista, se non per interessi di bottega condivisa.
Cioè non stiamo insieme se la pensiamo allo stesso modo, ma se la pensiamo allo stesso modo potremmo essere uniti, salvo clausole in calce.

Potreste obiettare che anche questo scritto ha carattere dualistico, ma è necessario, in sede di analisi, porre a confronto.

I due* principali motivi di suicidio si suddividono in negazione della condivisione della propria vita (voi non mi meritate) e negazione dell'accettazione comunitaria (io non vi merito).
Ciò rinvia direttamente al suicidio pubblico "eroico" (o esplicitamente automartirizzante, più propriamente) del frustrato più o meno obiettivo che vuole dare "alto esempio" – pur avendo coscienza della velleità del gesto, tragicamente nobilitato nel nome di un convinto altruismo – oppure a quello privato con rinvenimento del cadavere, spesso corredato di bigliettino con saluti, scuse e ringraziamenti più o meno autentici.

* Probabilmente nulla di "eroico" in entrambi i casi, ma appunto si tratta – da una parte – di un martirio esplicito che chiede onori alla e dalla storia e – dall'altra – uno implicito, che della storia se ne frega.
Per distinguerli bisognerà capire (e non è difficile) se l'epitaffio sulla lapide lo hanno scritto loro prima di uccidersi, oppure se lo hanno scritto i loro cari dopo la sepoltura sulla base del bigliettino rinvenuto.

Si tratta di soggetti che hanno una visione coerente con l'immaginario di destra (se può esistere una "coerenza immaginaria"), oppure si tratta di un vittimismo più prossimo alla visione di sinistra (del proletario oppresso), ma tendente all'apolitico deluso.
Ovvero la sottile differenza tra il non aver paura di morire (fascismo eroico immaginario) e l'aver paura di vivere (tipico del sottoproletariato vessato o della perdita di status privilegiato non ideologizzata).
Quindi, i primi hanno motivazioni ideologiche altruistiche (o spacciate per tali) mentre i secondi hanno motivazioni meramente economiche egoistiche, ma autentiche.

L'altruista è un filantropo illuso e si aspetta dagli altri attenzioni spontanee, così come egli fa nell'ambito del possibile, d'altronde alcune cose non costano nulla, se non qualche minuto del proprio tempo.

L'egoista è un misantropo disilluso (spesso un ex filantropo deluso) che ha imparato a chiedere, ad esigere e, soprattutto, ad ottenere.

Quando ci si accorge che la seconda opzione è ben più remunerativa della prima, il processo è irreversibile, ma è a termine, poiché, chi chiede, otterrà fin quando ci sarà qualcun altro disposto a dare.
Pertanto il filantropo si "suiciderà" perchè non può più dare, il misantropo lo farà perché non può più chiedere*.

* Scrive in proposito Pierre Drieu La Rochelle, mentendo a se stesso, talentuoso suicida: 
«Quelli che restano, quelli che non si uccidono, sono coloro che hanno talento, che credono nel loro talento.»
a dimostrazione che c'è comunque un termine a tutto.

L'unico vantaggio che ha il suicida, a prescindere dalla tipologia, è che, rispetto ai "comuni mortali" (si distingue già per questo), decide – e quindi conosce esattamente – il momento del trapasso (forse incidendo anche sul destino degli altri) e compie un atto supremo che accomuna coraggio* e vigliaccheria come nulla altro può fare.

* Ben diverso dal morire in eroica battaglia con disparità di forze in campo.
Anche qui, però, ancora destra e sinistra, hanno approccio opposto: l'una mitizza chiedendo rispetto e onore, l'altra piange chiedendo commiserazione, probabilmente entrambe speculano quando usano i morti per un fine che non sia una semplice commemorazione.
Ma anche di questo parlerò in un capitolo di un libro di prossima pubblicazione.


Comunque ogni giorno nasce un furbo e un ingenuo, quindi il processo ha sviluppo più che millenario, fatti salvi accadimenti di portata mondiale che portano a decimare le popolazioni e ad accelerare i tempi.

Esaurito il lungo preambolo, veniamo al dunque
 
A proposito di furbi e di ingenui, ascoltando un comizio di Salvini e uno di Di Maio – non contestuali – ho ravvisato alcune caratteristiche interessanti dei due personaggi.
Partiamo da quelle comuni.
Sono entrambi abbastanza giovani, dispongono di energie più o meno riflesse generate dal consenso e credono nelle favole populiste.

Ed ora le differenze.

Salvini ha qualche anno in più, sia anagrafico, ma soprattutto di esperienza politica: si serve del populismo spontaneo, il partito è lui e lo sa, attira a bordo una massa talmente varia che è praticamente impossibile da incasellare, dai nordisti ai sudisti, dai neofascisti ai veterocomunisti delusi (ovviamente parlo di base, non di vertici).
Un mix di berlusconismo e "mussolinismo" (con cautela, però, il fascismo è altro).

Di Maio, invece, ha una esperienza politica quasi nulla, ma che – secondo i suoi elettori – è più un pregio che un difetto, anzi, è l'unico motivo per il quale siede lì: ha quindi bisogno del populismo veicolato da Grillo, il Movimento non è lui, lo sospetta, ma preferisce non pensarci.

Ora sono sugli altari e sono strafottenti, ma con sfumature diverse:

Salvini interpreta (non è) il bullo ripetente che si è finalmente diplomato, ma non disdegna un linguaggio triviale anche in sedi istituzionali, nelle quali sarebbe auspicabile maggior contegno.
Ricorda Adriano Celentano quando interpretò Rugantino: la parodia di un nordico che vuole piacere al centro-sud per far dimenticare le origini secessioniste della Lega.

Di Maio interpreta (non è) l'assistente universitario quando il titolare della Cattedra è in settimana bianca: vuol far credere che sia lui a decidere, sia per i suoi, sia come influenza sullo scomodo alleato di governo. Ci crede lui, pochi fedellissimi e ancora troppi che hanno votato 5 Stelle.

Visti gli altari, passiamo alle polveri: il 5 maggio 2019 potrebbe essere più che un anniversario francese.
Nel caso di perdita verticale di consenso, di "suicidio politico", che cosa farebbero i due "eroi/martiri"?
Che cosa farebbero i loro fedelissimi?
Dipenderà da quanto hanno dato e da quanto hanno ricevuto.
Filantropia e misantropia non possono essere mascherate per sempre.
Pierre Drieu La Rochelle sarebbe d'accordo.

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