lunedì 29 ottobre 2018

Report corregge il tiro sull’editoria

Il Movimento della sega
e il pianto del coccodrillo


L'immagine si ferma al 2016, le cose stanno peggiorando.

Report, il noto e ventennale programma del palinsesto RAI – sì, quella del canone – smorza i toni e dismette i panni inquisitori per tornare a quelli più consoni (vedremo stasera, però), da inchiesta giornalistica, dopo che Milena Gabanelli è passata dall’essere proposta come papabile Presidente della Repubblica a defenestrata.


Già dal titolo della puntata sul “contributo” all’editoria, “Un equo finanziamento”, che andrà in onda oggi, alle 21,15, su RAITRE, traspare – se non una vera e propria inversione di tendenza – quantomeno una brusca sterzata con frenata.
Cautela probabilmente dettata dal fatto che si sono accorti di aver dato la stura al “Movimento della sega”, quello che prima o poi taglierebbe anche il ramo dell’albero sul quale sono seduti anche i giornalisti in ambito RAI, anche se il "terzo canale" è ancora saldamente in mano alla sinistra, infatti impostano la trasmissione mischiando le carte contro l'odiato "padrone" che sfrutta i poveri giornalisti. Vero fino ad un certo punto, e più spesso in giornali che il contributo non lo percepiscono, come vedremo.

La puntata è il seguito di quella che diede fuoco alle polveri nel 2006, infoiando poi grilli furbi, grillini invidiosi e grilletti facili, ed è sempre a cura di Bernardo Iovene (allora freelance, chissà se l’hanno contrattualizzato), ma che si intitolava “II finanziamento quotidiano” (https://www.raiplay.it/video/2009/01/Report---Il-finanziamento-quotidiano-9ddb997e-e18b-43d2-aab9-4f3d03bf6eea.html), un modo subdolo per dire: “ah, ci costi, quanto ci costi!?”.*

*A mio giudizio, nella puntata del 2006 ci furono una serie di imprecisioni e un modo di condurre l'inchiesta discutibile, giungendo a conclusioni su basi di ragionamento eccepibili, come ad esempio chiedere ad edicolanti a campione se conoscessero Linea Quotidiano, anziché mostrare i tabulati ufficiali delle distribuzioni nazionali per verificare le piazze e le edicole servite in queste, soltanto per citare una balla macroscopica.
A mie richieste di contraddittorio, non ebbi alcuna risposta.

Ma leggiamo da 
http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-59dfb7b7-bfed-4307-83b5-0d77b5d10e9d.html

«I finanziamenti diretti ai giornali vanno a cooperative di giornalisti, come il Manifesto, e a società controllate da cooperative, come Italia Oggi.
Sono finanziate anche fondazioni come quella che fa capo alla Cei, nel caso di Avvenire, e come la San Raffaele degli Angelucci per Libero.
[1]


I giornali che ricevono un contributo diretto sono 54, costano allo stato 60 milioni di euro, ma l’80 per cento dei finanziamenti viene diviso tra 20 quotidiani.
[2]


Il nuovo governo ha annunciato il taglio di tutti contributi, anche di quelli indiretti, complessivamente parliamo di 180 milioni di euro. [3]


Il sottosegretario Vito Crimi spiega alle nostre telecamere come e quando avverrà.
Dall’altra parte ci sono gli editori rappresentati dalla Fieg, che invece chiedono un intervento per far fronte alla crisi.
[4]


In un’intervista esclusiva a Report Urbano Cairo dichiara invece di non chiedere aiuti pubblici. [5]


Nel panorama dei quotidiani reggono molto bene quelli locali, che vivono ancora grazie ai propri lettori.
[6]


Come, per esempio, la Libertà di Piacenza, la Gazzetta di Parma, ma anche il Gazzettino, il Mattino di Padova e la Tribuna di Treviso e le cronache locali di Repubblica e Corriere della Sera, dove però lavorano centinaia di giornalisti collaboratori a 2, 4, 6, 9 euro ad articolo, ne scrivono anche 5 al giorno con uno stipendio che non arriva a 1000 euro, anche dopo decenni di collaborazione continuativa.» [7]

Ed ora analizziamo punto-punto

1] Le cooperative e le fondazioni
In Italia ci sono coop. di ogni genere, da quelle necessarie e che possono permettersi di sopravvivere soltanto grazie a sgravi fiscali consentiti dallo statuto interno che obbliga anche a rigidi parametri (su tutti non profit e impossibilità di redistribuzione degli utili tra i soci) a quelle che non sono facilmente individuabili per tipo e settore di operatività.
Le fondazioni sono un po' più "blindate", tuttavia il caso che riguarda i giornali rientra nel primo genere, pertanto nessun problema a verificarne i conti, cioè chi fa cosa e perché lo fa.

2] La percezione

Dai dati comunicati, il controllo non è impossibile: 34 giornali minori e 20 maggiori. 
Inoltre, se l’80% del contributo viene percepito dai più in vista, l’operazione di verifica è ancor più semplice.
Peraltro l'erogazione è stabilita dal dipartimento editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla base dei documenti di idoneità presentati dalle cooperative aspiranti alla percezione del contributo, documenti di dominio pubblico.
Qual’è il punto, allora?
È che, né il controllo, né l’erogazione, né tantomeno l’abolizione del contributo, per decreto, dovrebbero essere di competenza governativa, ma, semmai, parlamentare a 360°.
Sempre se vogliamo ancora parlare di democrazia, la quale presuppone maggioranza ampia o di misura, ma sempre un’opposizione vigile, presente e battagliera.

3] Il risparmio effettivo
Il “costo allo Stato” – secondo Report – va dai 60 ai 180 milioni di euro su base annua. Benissimo. Da uno a tre euro pro capite/anno risparmiati con l’abolizione del contributo: l’anno prossimo tutti in settimana bianca a Cortina! 
Ma di che cosa stiamo parlando? Di spicci per il caffè al bar o di abolire la libertà di stampa e la pluralità di informazione?
A quando i gulag?
Senza contare che il main stream (quello che Grillo e i suoi dicono di voler combattere) del contributo alla piccola e media editoria se ne frega, anzi, se lo aboliscono, i giornaloni infarciti di pubblicità saranno ancora più liberi di fornire indisturbati la propria versione dei fatti, magari foraggiati da lobbies.
E pagherebbero sempre meno i propri giornalisti senza alternative di impiego.

4] La sega (non la Lega)

Chi ha la sega in mano è Vito Crimi, il Senatore del Movimento 5 Stelle nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’editoria (dopo essere passato per il COPASIR).
Egli è determinato a portare a termine il suo progetto di sventramento dell’Ordine dei Giornalisti, in seno al quale è peraltro in corso una corposa, auspicabile e necessaria riforma.
La sua strategia sembra quella di togliere il supporto a giornali e giornalisti, affinché – abolendo il finanziamento – essi non abbiano più un organismo che li tuteli.
Ma, nel caso, non ci sarebbe soltanto L’OdG da abolire, questo Crimi lo ha dimenticato?
Oppure si tratta di una strategia che sarà attuata con tattiche diluite da pesci in barile?
Prima l’Ordine dei Giornalisti (ODG), poi la Federazione della Stampa (FNSI) e a seguire l’Associazione Stampa Romana (ASR), la Federazione Italiana Editori di Giornali (FIEG), l’Associazione Stampa Medica Italiana (ASMI), l’Unione stampa periodica italiana (USPI) e addirittura l’Associazione Nazionale della Stampa On Line (ANSO), visto che il blog di Grillo dovrà rimanere unica voce incontrastata?
Se non è pensiero unico questo…
Di più: si prospetta all'orizzonte un esercito di disoccupati “incarogniti” per i quali lo Stato dovrebbe farsi carico di una interminabile lista di casse integrazioni?
Dov'è il guadagno? Dov'è il risparmio? Questo sarebbe il vero costo sociale enorme per lo Stato.
L’unica cosa certa è che a perdere – oltre a migliaia di posti di lavoro – sarà la pluralità di informazione.
Un po’ come se si volessero abolire il Ministero degli Interni e quello della Difesa per poter togliere le armi alla Forze dell’Ordine e ai militari.
Tutto giusto?
A mio giudizio, no: il problema non è mai la pistola, ma l’uso che se ne fa.
Il tesserino da giornalista è oggettivamente paragonabile ad un’arma, ma di difesa pubblica, non di offesa.

5] La lima e la raspa
Urbano Cairo? Non li prende? Li ha presi in passato? Sì, no, ma che c'entra?

6] Pubblicità
I giornali che sopravvivono senza contributo ospitano corposi spazi pubblicitari, nessun giornale può sopravvivere con il solo prezzo di copertina: il “grazie ai lettori” nel testo di presentazione della puntata odierna di Report è una boutade scandalosa.
Ma, se non bastasse, come ho più volte sottolineato, la pubblicità sottrae spazio all’informazione e – cosa più grave – spesso la influenza negativamente: se pubblico l’inserzione di un'impresa, a pagamento, non potrò condurre un’inchiesta sulla regolarità del suo operare, con tanti saluti all’oggettività e al servizio pubblico.
La mia proposta, presentata oltre dieci anni fa, è quella di rendere gratuita la fruizione dei giornali che percepiscano il contributo e il divieto di avere spazi pubblicitari nei medesimi, esattamente come dovrebbe essere per la RAI: o il canone o la pubblicità, altrimenti, appunto, non si può parlare di servizio pubblico.
Chi non è d'accordo, è un furbetto: fa il giornale per incassare il contributo, non per informare.
Facile-facile, anche qui.

7] Il pianto del coccodrillo
A parte il fatto che se dovessi scrivere 5 articoli al giorno a 9 euro l’uno (non di meno, è già “schiavismo” così), intascherei 45 euro e non mi farebbero schifo: è sempre meglio che scavare con le mani in miniera. 
Ma sarebbe più corretto dire che è impossibile scrivere 5 pezzi di qualità al giorno: il primo sarà buono, il secondo mediocre e gli altri saranno un copia e incolla raffazzonato in fretta e furia: chi non è mai stato in una redazione non può comprendere a quali ritmi si lavori e con quale stress.
E poi, se dopo decenni di collaborazione, le retribuzioni non sono state adeguate neanche ai più bravi è perché soltanto nei casi citati (ovvero nei giornali che non percepiscono contributo) la gestione dei cordoni della borsa è in mano a privati danarosi che lucrano sulla pubblicità e della competenza giornalistica se ne fregano, con conseguente abbassamento di livello della qualità generale dell’informazione "ufficiale".
E pur vero che alcuni articoli non li pubblicherei neanche gratis, altro che 2, 4, 6, 9 euro, ma questo è un altro discorso.

Le associazioni di categoria e le federazioni preposte insorgano, quindi, e giustamente. Occorre fermare una guerra civile (soltanto nel senso di autolesionista, di "civile" c’è ben poco, per il resto), un tutti contro tutti, tra un fuggi-fuggi generale da e con barattoli di marmellata (oggettivamente?) rubati e sacrosanto diritto alla tutela della pluralità di informazione.

Concludiamo con un noto adagio: “Attento a quel che chiedi, potresti ottenerlo…”

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